Nuova Zelanda: “Future Islands”

Nuova Zelanda: “Future Islands”

 

VENEZIA. Pendono dal soffitto in legno come tanti emblemi di un mondo metaforicamente instabile. Il padiglione Nuova Zelanda – in due locali al primo piano di Palazzo Bollani – sceglie la strada della speculazione teorica e mette in scena un ambiente composto da tanti paesaggi alternativi. Il gruppo creativo che ha curato l’installazione – guidato da Charles Walker e Kathy Waghorn – racconta di riferimenti tanto diversi quanto spiazzanti: dalle città invisibili (di calviniana memoria) alle tecnologie utilizzate per realizzare i modelli (gusci leggeri progettati da un costruttore di barche per la Coppa America).
Le Future Islands galleggiano su un mare virtuale, quello che circonda le terre neozelandesi, e ospitano realtà diversissime: città, edifici isolati, complessi articolati, macchine, persone, animali. Elementi in parte ancorati saldamente al suolo, alcuni solo appoggiati, altri addirittura appesi e capovolti. Non c’è realismo, ma punti di vista estremi, “luoghi di possibilità che promettono stili di vita alternativi, e questa prospettiva è ora più allettante, e necessaria, che mai”, spiegano i curatori. Perché con questa costruzione volutamente ambigua e metaforica – fatta di 22 isole, 100 piccoli modelli, circa 50 tra costruzioni, progetti e speculazioni – la Nuova Zelanda (che partecipa alla Biennale per la seconda volta) vuole portare un messaggio di fragilità, speranza e responsabilità: ogni isola è autonoma, ma condivide con le altre lo stesso mare, galleggia ma è soggetta a mutamenti tanto repentini quanto potenzialmente tragici. Questo è il front osservato dall’altra parte del pianeta.

 

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Commissario: Tony Van Raat Curatore: Charles Walker Espositori: Kathy Waghorn, Jessica Barter, Stephen Brookbanks, Maggie Carroll, Bruce Ferguson, Minka Ip, Jonathan Rennie, Rewi Thompson Sede: Palazzo Bollani, Castello 3647

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

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