Portogallo
In “Public without rhetoric” 12 progetti pubblici dialogano, attraverso un allestimento misurato ed evocativo, con gli spazi di Palazzo Giustinian Lolin
Chi riparte da Venezia chiedendosi “Ma l’architettura dov’era? Ma i disegni?”, probabilmente non ha visitato il Padiglione Portogallo. Ci vuole effettivamente una forte motivazione: Palazzo Giustinian Lolin è vicino al Ponte dell’Accademia, sul Canal Grande. Lontano il festoso caos della vernice della 16. Biennale che si respira all’Arsenale e ai Giardini. Ma proprio questa condizione (il Portogallo non ha un suo padiglione) ha permesso di trovare uno straordinario Palazzo veneziano – sede della fondazione Ugo e Olga Levi – i cui spazi non sono banali contenitori ma artefici di un percorso che profuma di eleganza e raffinatezza.
C’è una qualità dell’architettura (12 progetti pubblici selezionati tra quelli realizzati negli ultimi 10 anni; uno di questi è la stazione della metropolitana di Napoli di Siza, Souto de Moura e Figueiredo; tutti i più conosciuti progettisti del paese da Aires Mateus a Byrne) che dialoga con un allestimento tanto semplice quanto delicato ed evocativo. Ogni progetto è raccontato con piccoli modelli colorati ad interpretare atmosfera e identità, sequenze di diapositive (non è un refuso: diapositive tradizionali con tanto di click ad ogni cambio,“Perché si sembravano lo strumento più coerente con il Palazzo”, dice Nuno Brandão Costa che ha curato l’allestimento con Sérgio Mah) e un disegno tecnico esecutivo montato in verticale che ti costringe a girare la testa (“Perché gli architetti di solito archiviano le tavole in questo modo”). Pochi materiali misurati e coerenti (il progettista non ha partecipato all’allestimento, interamente seguito dai curatori) che sanno instaurare un sottile dialogo con pavimenti, tappezzerie e quadri del piano nobile di Palazzo Giustinian Lolin e che rendono ragione dello smithsoniano titolo “Public Without Rhetoric”. Non c’è retorica nemmeno nell’androne al piano terra dove 4 artisti interpretano i 12 progetti attraverso dei video: anche questi eleganti, silenziosi, inappuntabili.
Le sedi della Biennale sono lontane ma se “freespace” significa progetto architettonico al centro e identità collettiva, casa sua è qua, a casa Portogallo, sulle rive del Canal Grande.
Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale