Tortona district guarda al futuro
Con la mostra su Aldo Cibic, le dialettiche tra i poli opposti di Superstudio e gli esiti delle ricerche delle accademie di design, per la prima volta Base impone il biglietto d’ingresso ma continua il successo di pubblico
Nello stretto camminamento che da Porta Genova conduce a via Tortona il popolo del design si muove compatto, niente affatto intimorito dalla pioggia battente, per poi dividersi fra le vie del distretto man mano che ci si avvicina ai punti caldi del Fuorisalone. Un’offerta ampia, quella del distretto di Tortona, che promette più degli altri una visione del futuro del design – e non solo -, sia esso legato ad avanzamenti tecnologici ancora lontani da un’applicazione concreta – ma dal sicuro effetto scenico – sia esso calato nella vita di tutti i giorni; e, promessa mantenuta o no, vede sempre una presenza di pubblico ampissima, spesso caotica.
Pare sia questa la ragione – almeno nelle parole degli organizzatori di “Ventura Future” – dell’adozione di un biglietto d’ingresso al Base, in via Bergognone 34, che ospita gli esiti delle ricerche delle accademie di design di tutto il mondo e i talenti emergenti e che nelle edizioni passate ha risentito di un numero di visitatori ritenuto eccessivo per dare la giusta attenzione ai giovani espositori. La scelta della location, poi, è significativa, dal momento che nei primi anni 2000 proprio il Base – allora conosciuto come l’ex complesso industriale Ansaldo – ospitò gli eventi d’esordio di Organization in Design, società di produzione di Ventura Future, con una mostra personale del designer olandese Marcel Wanders. Un importo di 5 euro, non elevato, soprattutto se si considera che l’accesso è per tutta la settimana e anche per eventi e concerti serali, per i quali prima di quest’anno si pagava un biglietto separato e, soprattutto, se si considerano casi simili, nelle design week del mondo. Non solo una misura anti-ressa, ma, prima di tutto, una scelta di campo netta, che sposta l’asse d’interesse sulla qualità della ricerca e seleziona i visitatori più motivati (costringendoli a metter mano al portafogli), coloro che hanno davvero interesse a scoprire progetti innovativi e giovani talenti, allontanando chi fa turismo e vuole solo presenziare. Una misura inaccettabile, invece, per chi considera irrinunciabile la gratuità che ha sempre accompagnato il Fuorisalone fin dal suo nascere e ritiene sia essenziale mantenerne il carattere di festa partecipata e democratica.
Nel frattempo in zona Tortona, fra sperimentazioni e applicazioni futuribili, nel tentativo di proiettare la ricerca e la riflessione contemporanea su un possibile futuro, viene spontaneo interrogarsi su che cosa sia il design oggi.
Superstudio
Conferma un concetto di design come visione del futuro ma ancorata a un passato solido, dal momento che il tema di questa edizione propone una dialettica fra due poli opposti, oscillando fra antitesi ben note al design: la tradizione e l’innovazione. Prossimo ai 20 anni dalla sua nascita, lo spazio creato da Gisella Borioli continua a colpire per la vastità della proposta e degli approcci, sebbene nella continuità di alcune presenze.
La tradizione negli allestimenti di Giulio Cappellini (che chiama a raccolta grandi nomi del design italiano e internazionale nel suo “Superhotel”, summa di made in Italy e alta manifattura che punta a un pubblico cosmopolita) ma soprattutto la tradizione del prodotto di design dalla forte impronta artigianale, ancora molto presente nella produzione asiatica, nelle esposizioni di Indonesia, Giappone e Corea del Sud, che presenta un allestimento raffinato e di grande impatto seppur nella sua essenzialità.
L’innovazione vede ancora una volta interrogarsi sul futuro delle nostre città con la mostra “Smart City: People, Technology & Materials”, a cura dall’architetto Giulio Ceppi, negli spazi di Superstudio 13, in via Forcella 13/via Bugatti 9, che ha come tema “La via latina alla smart city”, basato sull’analisi dei cambiamenti che stanno interessando la nostra vita quotidiana e sull’ipotesi di una tecnologia come elemento facilitatore per trovare sintonia ed empatia.
Ventura Future al Base
Guardare al futuro significa innanzitutto porsi delle domande, come dichiara l’allestimento nella sala centrale al piano terra, che espone una serie d’interrogativi sull’interazione fra l’essere umano e la tecnologia. Uno su tutti: se Google ha le risposte a tutto, perché abbiamo bisogno d’imparare?
Eppure al quesito rispondono proprio gli studenti, visto che all’interno del grande contenitore creato da Ventura Projects protagoniste sono proprio le scuole di design provenienti da tutto il mondo, che propongono soluzioni orientate alla sostenibilità ambientale. Il Royal college of Arts di Londra, per citare un caso rilevante, propone uno sguardo a volte accurato, a volte intelligentemente provocatorio sull’utilizzo ottimizzato delle risorse, sulla produzione di oggetti durevoli, sul riuso di materiali e persino sul “riciclo” dell’inquinamento aereo in una saponetta.
Perché seppure il web avesse tutte le risposte, avremmo bisogno d’imparare a fare le domande giuste.
Sony “Affinity in Autonomy”
La tecnologia e l’indagine sull’intelligenza artificiale porta Sony a esporre una serie di dispositivi che mostrano le possibili, a volte disturbanti, evoluzioni nell’interazione fra intelligenza artificiale ed essere umano. E se nella scorsa edizione della Milano Design Week ci avevano emozionati, presentando il lato poetico della tecnologia in un’atmosfera intimistica, quest’anno con “Affinity in Autonomy” l’obiettivo è dimostrare come questi dispositivi abbiano una loro indipendenza e sviluppino preferenze e simpatie con il fruitore, del tutto svincolate da noi; in altre parole, dispositivi programmati per essere liberi di scegliere. Accade così di essere “eletti” e seguiti fra la folla dei visitatori o di accarezzare un cucciolo robotico che reagisce alle coccole del suo nuovo padrone.
Se il futuro che ci attende vedrà davvero le macchine comportarsi come persone, allora la questione da porre non riguarderà più come la tecnologia possa svilupparsi ma come sia più giusto farne uso.
“Aestetic of vitality” di Aldo Cibic
Alla Milano Design Week ci si ritrova, ancora una volta, di fronte una proposta che è impossibile anche solo tentare di abbracciare in toto per ampiezza e varietà, in una dialettica di contaminazione e di sconfinamento del design nelle discipline più differenti che non sempre convince. Proprio per questo motivo sentiamo l’esigenza di tornare ai maestri del design e al progetto di qualità, senza compromessi, senza interferenze.
Nella mostra “Aestetic of vitality” Aldo Cibic racconta la propria opera e ripercorre le diverse età della sua produzione, sia attraverso pezzi che hanno fatto la storia del design industriale, sia esponendo realizzazioni più recenti. A partire da quando, allora 22enne e senza nessuna formazione accademica venne scoperto da Ettore Sottsass, diventando dopo soli tre anni uno dei fondatori del gruppo Menphis, per poi continuare con la fondazione del suo studio di lì a poco.
Un’attività incessante, prolifica e multiforme, quella di Cibic, protagonista di numerose mostre internazionali, che ha toccato anche la riqualificazione e il progetto d’interni del boutique hotel Savona 18 Suites a Milano – dove si svolge la mostra – e che si rivolge adesso alla ricerca nel campo del design d’innovazione sociale, sviluppatasi attraverso l’attività didattica in Italia e in Cina. Un viaggio attraverso bozzetti (particolarmente interessanti quelli che raccontano l’evoluzione del progetto della libreria modulare “Ellissima”) e oggetti dalla forte comunicativa, che sviluppano un rapporto di empatia con il fruitore, perché per dirla con le parole di Cibic: “L’oggetto ha una sua vitalità intrinseca, un’anima, ha molto da dire a chi lo possiede”. Un punto di vista che forse meglio di tanti altri può spiegare cosa sia il design.