Renzo Piano tra le chiome degli alberi: la bellezza riguarda tutti

Renzo Piano tra le chiome degli alberi: la bellezza riguarda tutti

Un dialogo intorno al progetto dell’Hospice per bambini a Bologna della Fondazione Seragnoli

 

Published 23 ottobre 2023 – © riproduzione riservata

È attesa per inizio 2024 l’inaugurazione dell’Hospice per bambini di Bologna, un progetto commissionato dalla Fondazione Seragnoli a RPBW. Nell’occasione, ci confrontiamo con l’architetto genovese intorno ai temi dell’architettura “curativa”.

 

Quando riesce bene, l’architettura è sempre curativa: attraverso i sensi, parla ai nostri desideri. Il progetto dell’Hospice per bambini di Bologna – un tema progettuale da far tremare i polsi – sembra riesca in questa sfida estrema. Come è nata l’idea?

Sì, è vero che è un intervento che fa tremare i polsi, davvero, perché bene o male un architetto riesce sempre a immedesimarsi in chi vive l’architettura. Fai una scuola, sei stato a scuola. In questo caso, abbiamo avuto dei problemi. Cerco sempre di fare questa ginnastica, ma lì era un’altra cosa. Tutto si fa perché i bambini non soffrano, e con loro anche i genitori, che sono giovani, quasi bambini. Questa idea di sollevare la struttura e metterla tra gli alberi viene anche da questo. L’ospedale è un luogo di sospensione, è un luogo di passione, in questo senso, un po’ come mettersi in un’apnea che può durare anni, drammatica. Attraverso questa sospensione, in qualche maniera, entri in quel mondo, entri tra le foglie del bosco di acacie, che abbiamo trovato lì.

 

La chioma degli alberi è uno dei luoghi ancestrali più amati dai bambini. Negli anni settanta, alcune ricerche scoprirono una preferenza innata verso il paesaggio della savana africana. L’acacia è la figura chiave di quel paesaggio. Il suo progetto sembra far riferimento a questa memoria ancestrale che i bambini custodiscono, senza saperlo. Cosa ne pensa di questa assonanza?

Questa è una coincidenza. Certamente non è una coincidenza che il rinnovarsi del ciclo della natura, il passare delle stagioni, perdere le foglie, poi ritrovarle, è metafora di guarigione. Anche se nell’Hospice non c’è guarigione, questo gesto voleva portare la bellezza in un luogo di sofferenza. Non sto parlando di una bellezza frivola, ma di quella primaria, il kalos dei greci. Con gli alberi non volevo creare una foresta nera, ma un bosco felice. L’acacia ha delle foglioline leggere, quindi la luce non è pesante: è un bosco luminoso. Facendo tre ospedali in Grecia, ho avuto l’occasione di osservare con attenzione la loro storia. Nell’antica Grecia gli ospedali – gli Asklepeion – erano luoghi di una bellezza ambientale, costruita, e naturale. I greci, guarda un po’, chiedevano aiuto anche alla bellezza per guarire. Perché gli ospedali, al di là dell’efficienza clinica, devono essere luoghi dove recuperare anche la dimensione umana. Non serve una bellezza di superficie, ma una bellezza profonda che ha a che fare con luce e la natura.

 

Le neuroscienze stesse stanno dimostrando che kalos kai agathos, ovvero che il bello è buono.

L’eccellenza medica è fondamentale, ripeto. Però il  tema di riportare qualità negli ospedali è molto importante. Sempre divagando, quando mi chiamò Gino Strada per costruire un ospedale in Uganda per Emergency mi diede il più breve brief che abbia mai ricevuto. Mi disse: “Voglio un ospedale scandalosamente bello”. Proprio così. In queste due parole, scandalosamente bello, c’era già tutto. Era uno scandalo, perché non solo portava l’eccellenza clinica, ma anche la bellezza. Perché tante persone pensano che quando si fa un regalo, tanto più al cosidetto terzo mondo, basta che ci sia. Gino pensava a una bellezza profonda legata alla natura, alla bellezza della solidarietà, alla bellezza di stare insieme. Quando Isabella Seragnoli mi ha chiesto di realizzare questo edificio, il tema della bellezza, che è un pallido tentativo di alleviare la sofferenza, è venuto fuori. Allora non è difficile immaginare perché abbiamo sollevato da terra l’edificio, perché sia in mezzo agli alberi.

 

Oltre a regolare il rilascio di serotonina e melatonina, mitigando lo stress e favorendo il sonno, la luce ha anche la forza di dare ritmo al tempo. Le atmosfere che la luce costruisce sono variegate, in ragione della stagione, del colore delle foglie, del cielo, del mattino o del pomeriggio.

Le camere hanno un giardino d’inverno, una doppia pelle, uno spazio di 90 cm, con lamelle che si aprono e si chiudono. Non c’è una finestra e basta. Questo ci permette di giocare con la luce. Naturalmente, la macchina della luce è quella delle foglie degli alberi che, guarda caso, quando c’è bisogno dell’ombra mettono su le foglie, che spariscono quando c’è bisogno di sole. Quando la luce c’è, le foglie la frantumano, creano una luce scattered: non è una luce violenta, infatti viene anche dosata dalle tende nella doppia pelle. Infine, l’alternarsi delle stagioni – che purtroppo sono poche per queste povere creature – la cambia ancora. Ogni cameretta, inoltre, sopra il lettino, ha un oblò che guarda verso il cielo, con un disco che ruota per aprirlo o chiuderlo. Non è un’idea così stupida, no? Perché una creatura che è lì coricata, schiaccia un bottone e appare e sparisce il cielo. Le camerette, in mezzo agli alberi, hanno anche dei pannelli solari sopra il tetto. Siamo vicini alle emissioni zero. È un edificio molto saggio, e anche questo rappresenta una parte del viaggio. Ho sempre pensato che l’architettura abbia bisogno dell’apporto della necessità per trovare degli appigli seri, che non siano di moda. L’appiglio forte di questo secolo è certamente la fragilità del pianeta.

 

La vista degli alberi permette di “sentire” la sensazione tattile del legno della corteccia, come, al di là del vetro, il movimento muto delle chiome, plasmate dall’aria, riporta alla memoria il suono del vento. Come sono stati utilizzati i materiali e i colori naturali in questo progetto?

Quando si dice “la natura è metafora di guarigione” non si dice soltanto una cosa che è un augurio. È una cosa che esiste. Alla ricerca clinica non si può certo rinunciare, ma in ogni caso la qualità dello spazio è importante. Gli ospedali a padiglione dell’800, spesso con dei parchi, edifici separati, avevano una certa dignità. Gli ospedali del ‘900 hanno guadagnato molto sul piano clinico, certo; ma questi casermoni hanno completamente dimenticato la persona fisica. Hanno dimenticato che l’ospedale è un luogo di sospensione.

 

Le neuroscienze e l’architettura. Lei cosa pensa di questa relazione?

A New York, per la Columbia University, per i professori Richard Axel e Eric Kandel, ho realizzato l’Istituto di Neuroscience: ci sono 900 ricercatori. Tra questi c’è un gruppo che lavora sul rapporto tra cervello e percezione della natura. I neuroni sono circa 85-90 miliardi, e ci sono quelli che lavorano sulla percezione. Negare che non esista un rapporto empirico tra natura e corpo umano sarebbe sciocco. Sarebbe scientificamente sbagliato. E quello che lei mi dice è sostenuto da ricerche scientifiche, perché oggi la scienza può scendere con le nanotecnologie a livello molecolare. Ci sono delle prove. Non sono interpretazioni di qualche pazzerello.

 

Un’ultima curiosità. Guardando al progetto torna alla memoria Il barone rampante di Italo Calvino. Il piccolo Cosimo fugge tra le chiome degli alberi e non torna più a terra. Conoscendo la sua attenzione alla letteratura di Calvino, mi chiedo se sia del tutto casuale.

Ha colto nel segno: sono un grande cultore di Italo Calvino, e sono stato anche suo amico; è l’età che mi dà questo privilegio. Lui veniva in cantiere al Beaubourg, a Parigi, a fare delle grandi chiacchierate. Il barone rampante l’aveva scritto da dieci anni. Sì, Cosimo sale su un albero e non scende mai più. C’è qualcosa di poetico in quest’idea di sospensione. Fa parte di quelle cose che ci sono e non ci sono nel progetto. Gli edifici stanno su delle gambe e, quando gli alberi sono cresciuti abbastanza, le chiome salgono fino a 18. A terra, lei si muove in un paesaggio che è fatto di gambe, degli alberi e degli edifici. Si finisce poi per fare anche poesia, perché la poesia devi mettercela. Cosa diavolo puoi metterci come architetto? Ci metti la funzionalità ma ci devi mettere anche un po’ di poesia.

 

Per concludere, questo di Bologna per Isabella Seragnoli, si potrebbe dire, riprendendo Gino Strada, che è un progetto scandalosamente bello?

La parola bellezza è stata trafugata. Quando usi la parola bellezza la gente ti guarda male, non capisce. Quando usi la parola inglese, beautiful, la gente pensa che tu stia parlando di un istituto di bellezza. Non c’è niente da fare. È una situazione così. Anche in francese beauté. In italiano è già diverso. In Grecia è un’altra cosa. Poi lavorando in Uganda, nello swahili, non esiste una parola “bello” disgiunta dalla parola “buono”. La desinenza –nzuri, che si riferisce a una persona, non significa solo bello ma anche buono. Però, anche se questa parola ci è stata trafugata, e bisogna stare attenti a come usarla, la bellezza è fondamentale, è la dimensione fondamentale della nostra vita, è una cosa che ci accompagna in ogni istante della giornata. Riguarda tutti.

 

L’Hospice per la Fondazione Seragnoli a Bologna

L’Hospice pediatrico di Bologna, progettato da Renzo Piano Building Workshop, è un edificio che offre terapie palliative di supporto ai bambini malati e alle loro famiglie. Tra gli altri spazi, gli otto appartamenti hanno il ruolo di sostenere il fine vita del bambino, offrendo atmosfere di pace e tranquillità in un contesto naturale.

L’edificio sospeso tra gli alberi raggiunge le chiome delle acacie offrendo la sensazione di potersi avvicinare fin quasi a toccarle. I diversi spazi si fondono con la natura quasi confondendone i limiti: levitando dal suolo, in questo modo, si vive all’interno della foresta. Questa disposizione permette di beneficiare del potere rigenerativo della natura, connettendo la persona al paesaggio dei nostri antenati che, ancora oggi, il nostro cervello riconosce come ambiente noto e affidabile. È così che l’edificio diventa dimensione sicura e piacevole, abbracciando i bambini e le loro famiglie, prendendosene cura e offrendo un soggiorno tranquillo e sereno in grado di accompagnare l’intero nucleo familiare. 

L’ambiente interno è importante quanto quello esterno. Poter godere di un contesto ricco di luce solare aiuta il corpo a sentirsi in sintonia con i ritmi naturali e ad evitare squilibri. Il contatto con spazi imprevedibili, diversi e divertenti, direttamente collegati all’ambiente esterno, favorisce la stimolazione sensoriale e i pensieri positivi, anche nelle situazioni più drammatiche.

I piccoli pazienti sono molto più sensibili agli stimoli sensoriali rispetto agli adulti, poiché si trovano in una fase dello sviluppo in cui si denota una maggiore plasticità cerebrale. Di conseguenza, sono più vulnerabili agli stimoli stressanti, mentre i fattori ambientali esterni influenzano maggiormente il sistema cerebrale. L’interazione tra il bambino e lo spazio è un potente strumento per conservare il residuo senso di benessere, contribuendo ad uno stato di calma ed emotività, anche per le famiglie.

La sensazione di essere rinchiusi, o di trovarsi in luoghi pensati per gli adulti, va evitata. Per questo è importante che la progettazione sfrutti al meglio le affordances (suggerimenti di tipo motorio che oggetti e configurazioni dello spazio possono trasmettere in modo inconscio al corpo umano per guidarne il movimento, reale o anche solo simulato nei circuiti cerebrali) offerte dagli ambienti, poiché ogni bambino ha un diverso grado di sviluppo cognitivo e sensoriale, una diversa progressione della malattia e ogni famiglia affronta la situazione di fine vita a modo suo. La sfida è creare luoghi sicuri in cui i bambini possano scegliere come trascorrere la loro permanenza, continuando le attività della vita quotidiana, giocando con altri bambini, trascorrendo del tempo con la famiglia o rimanendo soli nei momenti di riflessione.

La consapevolezza dell’impatto che l’ambiente può avere sulle persone, permette di prendere le decisioni corrette su come progettare, anche nelle estreme situazioni di sofferenza.

(testo a cura di Clara Rius e Giulietta Boggio Bertinet)

Committente: Fondazione Hospice Seragnoli
Gruppo di progettazione: G.Grandi, S.Russo (partner and associate in charge), A.Zanguio, E.Donadel, R.Parodi, S.Polotti, G.Semprini, O.Teke, with V.Bonanni, M.Carroll (partner), A.Chiabrera, V.Costalonga, M.Ottonello, E.Trezzani (partner), Ch.Van der Hoven; G.Corsaro, B.Pignatti, A.Pizzolato, C.Zaccaria (CGI); F.Cappellini, D.Lange, F.Terranova (models)
Consulenti: Milan Ingegneria (structure); A.Lagrecacolonna, S.Rigato (MEP); Arup (lighting); M.Amadio (fire prevention); Ricerca e Progetto (acoustics); C.Cocco (LEED); Trillini Engineering (A/V, ICT, BMS, security); P.Pejrone, F.Brugo (landscaping); A.Piancastelli, Twice (specifications); C.Guido (project management)
Foto: Enrico Cano, Ugo De Berti, Stefano Goldberg, Shunji Ishida (© Fondazione Hospice Martia Teresaa Chiantore Seragnoli)
Suspended photos: Enrico Cano
Disegni: Renzo Piano Building Workshop. RPBW archives
Schizzi: Renzo Piano. RPBW archives
Modelli: RPBW archives

Autore

  • Davide Ruzzon

    Architetto, a Milano guida TA TUNING ARCH, società dedicata all’applicazione delle neuroscienze al progetto architettonico che vanta interventi nel settore dell’housing sociale, delle residenze per anziani, ospedali, aeroporti, logistica, scuole, uffici. Ha fondato e dirige NAAD Neuroscience Applied to Architectural Design, ad oggi nel mondo il primo Master internazionale nato sullo stesso tema, all’Università Iuav di Venezia. Ha co-fondato la nuova rivista «Intertwining», sul rapporto tra scienza, cultura umanistica e architettura, edita da Mimesis International. Ha pubblicato "L’architettura delle differenze" (2013) e "Tuned Architecture" (con Vittorio Gallese, 2016), oltre a saggi e articoli in varie riviste d’architettura. Sempre presso Mimesis è stato pubblicato "Tuning Architecture with Humans" (2023)

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