© Ivan Parati

Expo 2020 Dubai, l’eterno sabato del villaggio (globale)

Expo 2020 Dubai, l’eterno sabato del villaggio (globale)

L’Expo sembra avere portato il circo in un paese che, almeno sulla carta, sta costruendosi un futuro lontano dal petrolio

 

Published 20 dicembre 2021 – © riproduzione riservata

DUBAI. L’apertura di Expo 2020 ricorda l’arrivo del circo in paese: per una o due settimane i bimbi si accalcavano sulle mura, antistanti il piccolo spiazzo incolto appena fuori dal centro storico, per vedere gli animali esotici, i costumi stravaganti, gli esercizi dei trapezisti, i frizzi e i lazzi dei pagliacci. Gli stessi figli dei circensi venivano guardati con una punta d’invidia dai coetanei autoctoni per il loro costante vagabondare di villaggio in villaggio, le interruzioni della frequenza scolastica, i giacchetti vistosi e un’aria di libertà e indipendenza che traspariva dai graffi sulle gambe, alla quale pochi di noi potevano ambire. Portavano in paese quest’aria spensierata di attesa e di giubilo facendo tornare per un po’ tutti bambini.

 

Dubai, il circo dell’uomo più forte del mondo

Ora immaginatevi, ma forse lo avevate già capito, che Dubai stessa sia di per sé un grande circo, ma non come quello felliniano del paese di provincia, degli animali spelacchiati in cattività (il circo Bidon, tanto caro al regista, per fortuna non ne ha mai avuti), dei pagliacci tristi e melodrammatici, dei trampolieri azzoppati e dei trapezisti strabici. Dubai è il circo coi muscoli dell’uomo più forte del mondo pompati di anabolizzanti, un paese per professionisti dei balocchi di tutte le età, una giostra continua con una macchina espositiva commerciale da primato, che da poco è ripartita a macinare fiere a ritmi incredibili di decine alla settimana. La stella di questo spettacolo, la “Fiera” come diciamo noi, posizionata da quarant’anni ai piedi dello storico Dubai World Trade Centre, è stata riposizionata all’ingresso principale di Expo 2020 e fa intuire quanto strategiche siano state le scelte urbanistiche legate all’operazione finanziaria più grande nella storia del paese.

Dubai è la materializzazione del villaggio globale che McLuhan aveva ipotizzato come virtuale, e in effetti il Global Village a Dubai c’è da più di vent’anni: un enorme parco tematico ai confini del deserto fatto di padiglioni che rappresentano gli stati del mondo, dove si mettono in mostra prodotti importati da quei paesi e un palco immenso dove si celebrano gli spettacoli di tutto il globo… Vi ricorda qualcosa? Vale la pena andarci, niente a che fare con Expo 2020, ma nel suo kitsch, è probabilmente la cosa più verace e autoctona che Dubai possa offrire e, nonostante la contemporanea competizione e qualche acciacco dovuto all’età dei suoi padiglioni, ancora riesce durante il fine settimana a riempire gli 8 megaparcheggi che la circondano.

 

La ripartenza dopo un anno magro

Ritornando alla metafora/parabola del circo, tutto questo fermento dopo un anno magro, senza turisti, ha generato da un paio di mesi un’aria frizzante di ripartenza a pieno regime. Le strade a 12 corsie sono trafficate come mai si erano viste da prima della crisi dei subprime. I voli sono ripartiti a pieno regime e finalmente gli Airbus 380 sono usciti dal parcheggio forzato in fondo alla pista: era uno spettacolo vederli allineati passando in autostrada, come un intero quartiere di grattacieli abbattuti a scrostarsi sotto il sole cocente. Ora sono ancora più spettacolari, vederli atterrare sulla stessa pista ad intervalli di 3 minuti per l’intera notte. Mirdif, il quartiere a ridosso della pista, ha smesso nuovamente di dormire. Gli alberghi registrano il tutto esaurito e un’impennata dei prezzi mai vista da anni, con un via vai faunistico da far impazzire qualsiasi antropologo per diversità ed estro di costumi. Un avvicendarsi di etnie ed usanze sta invadendo i punti caldi di una metropoli da sempre abituata ad essere crocevia di traffici, più o meno leciti, oltre che rifugio temporaneo per una mescolanza di oltre duecento nazionalità. I ristoranti sono tutti in movimento: mettere le gambe sotto al tavolo (o spesso incrociarle davanti al piatto, consuetudine diffusa in gran parte dell’Asia centrale) si potrebbe definire lo sport nazionale, ed esprime appieno la multietnicità della città-stato che, a parte i nomi di chef blasonati, vanta anche la presenza di un modesto ristorante nordcoreano.

 

In mostra un futuro tanto atteso

L’attesa è stata tanta e faticosa, un anno di slittamento nonostante un unico lockdown totale di 20 giorni, e ora tutti vogliono prendere parte alla sagra delle sagre, tutti si accalcano vaccinati e mascherati (il 90% della popolazione ha ricevuto entrambe le dosi). Anche gli autoctoni, “i locals” che costituiscono una minoranza in casa loro, seppur privilegiata, li ritroviamo lì. Davanti ai portali in maglia di fibra di carbonio, spettacolo maestoso ed etereo, trascinano tutta la famiglia al completo di più mogli e molti figli, inclusi gli anziani, i servitori e gli autisti (secondo la buona tradizione della famiglia mediorientale, e per queste tre ultime categorie l’ingresso è gratuito, sempre), a sognare ad occhi aperti davanti ad un futuro che li affascina da quarant’anni, quando ancora bambini facevano sgobbare i dromedari sulle dune e ogni tanto ricevevano la visita dello sceicco in elicottero, per mediare uno screzio di terreni o di greggi. Loro sono nati quando gli Emirati si sono uniti esattamente cinquant’anni fa e questo giubileo è un ulteriore motivo di orgoglio e occasione da celebrare con sfarzo. Per la ricorrenza (2 dicembre), gli emiratini usano tappezzare le proprie macchine di lusso con le immagini dei padri dell’Unione e i colori della bandiera. Ve l’immaginate una Panda coperta con la figura di Renzi o di Salvini e il tricolore? Ci vorrebbero i finestrini blindati.

Le tipografie cittadine lavorano incessantemente per giorni prima della ricorrenza per stampare gli adesivi giganti da incollare sulle vetture, finestrini compresi. Quest’anno Expo 2020 è uno dei punti di richiamo più forti per la celebrazione. Il grande duomo centrale, la struttura più alta e impressionante di tutta la fiera, un orgoglio di realizzazione italiana che ricopre piazza Al Wasl (tradotta come “di mezzo”, “connessione”) si colora di rosso, bianco, verde e nero, tramite 252 apparecchi laser che la rendono la più grande proiezione a 360° al mondo.

Questo non è di certo l’unico primato infranto da Expo 2020: in una gara con se stessa alla megalomania della morigeratezza, Dubai decide di soddisfare la metà del fabbisogno energetico di questi emozionanti giochi di luce e di tutta la fiera utilizzando il vicino Mohammed Bin Rashid Al Maktoum Solar Park, ovviamente il più grande al mondo.

 

Obiettivi sempre più ambiziosi

Il tutto sembra coreografato ad arte seguendo cliché già assai collaudati, come il drammatico gioco d’acqua non lontano dal grande duomo, che ricorda la fontana antistante il Dubai Mall, almeno nella rinfrescante funzione, altro antico primato cittadino che riesce ancora a commuovere per la sua maestosità. A Expo 2020, nella sua versione aumentata, le persone ne fanno parte godendo dei flutti rinfrescanti che sgorgano dal muro perimetrale al ritmo di celebri pezzi classici. Anche le danze tribali dei locals sembrano accompagnarsi bene con il sottofondo sonoro in filodiffusione, che per l’occasione è stato musicato dai più importanti cantautori del paese.

Si potrebbe continuare a citare altri esempi di gestione di una comunicazione che tende a perpetuare l’attesa nei confronti di qualcosa di ancora migliore che debba presto arrivare. Dubai si fonda su questo principio, il saper rilanciare costantemente, definendo obiettivi sempre più ambiziosi e che possano stabilire un nuovo imbattibile primato, sperando che vada tutto come pianificato o che la prossima corsa faccia dimenticare quella annunciata ma mai partita.

Questa volta le scelte sono state ben calibrate, a partire dall’impianto urbanistico trilobato che sottende le aree tematiche della sostenibilità, delle opportunità e della mobilità, ognuna corredata del proprio padiglione, affidato per l’occasione agli architetti dei momenti importanti. L’enorme impianto viario che circonda l’area offre ai visitatori un modo rapido per tele-trasportarsi da un estremo all’altro in una manciata di minuti tramite degli autobus di linea sfortunatamente poco comunicati e sottoutilizzati. Gli ampi viali coperti da vele retrattili, le zone ombreggiate dei padiglioni minori e le molte attrazioni che si animano verso sera sono invece il punto di forza di tutto lo spettacolo. Se spostarsi lungo il decumano dell’estate milanese equivaleva ad un tour de force trascinando le membra stanche da un padiglione a quello seguente nel miraggio perpetuo di poter accumulare più timbri possibili sull’immancabile passaporto, la visita di Expo 2020 si sviluppa come una passeggiata nella mitezza dell’inverno emiratino (28°C a fine novembre), interrotta qua e là da flash mob di artisti di strada, chioschi di bibite e panini, panchine ombreggiate. Questa rilassatezza è forse anche il risultato di una politica di biglietti stagionali a prezzi popolari che ha fatto eleggere Expo 2020 ad attrattiva preferita lungo tutta la bella stagione per le tante famiglie che vivono e lavorano negli Emirati, e che hanno deciso, come molti di noi, di ritornarci appena possono e visitare senza fretta, poco alla volta.

 

Un viaggio tra i padiglioni

I padiglioni delle nazioni maggiori quasi perdono di peso e, in questa cornice perfettamente organizzata, lo si nota dalla poca cura con cui alcuni stati risolvono la transizione con i padiglioni adiacenti: dislivelli inaspettati, vialetti di servizio senza uscita, cordoni sparti-coda che contraddicono anarchitettonicamente la circolazione progettata, precludendo il buon senso oltre che la fruizione di spazi pensati come comuni, una sequenza di superfici di raccordo che sembrano campionari di pavimentazioni da esterni in una fiera del giardinaggio fai da te. Ogni settore ha i suoi vincitori di estro e tecnica, e alcuni esempi spiccano per le scelte oculate, mentre altri per gli eccessi autocelebrativi. Di seguito alcune menzioni che intendono riassumere le tendenze ricorrenti.

L’Arabia Saudita, i cugini di campagna degli Emirati (o viceversa, a sentir loro), in uno slancio tecnospirituale immagina un grande Corano digitale che, oltre ad ombreggiare lo spazio antistante, funge da contenitore per delle esperienze turistiche ed interattive corredate da cascate digitali e oasi seminterrate. Lo sanno anche loro che se la tirano, ma almeno lo fanno con un certo stile.

Gli americani stupiscono per essere tra i pochi stati occidentali a proporre un’esperienza scontata ed inconsistente sia dal punto di vista architettonico che espositivo, rivestimento di stelle e una noiosa visita su nastro trasportatore degli stereotipi più stereotipati al mondo, la fiaccola della Statua della Libertà, la Silicon Valley, le esplorazioni dello spazio con tanto di svettante razzo in polistirolo in scala reale e frammento di luna da strofinare per gli amanti del Covid-19. Una nazione decisamente in declino.

La Polonia riesce a rapire l’attenzione con l’eleganza e la raffinatezza di una scultura cinetica che ombreggia tridimensionalmente il perimetro della struttura mentre si completa nella visita con un rigore modernista che fa da contrappunto ai semplici temi naturalistici. Eleganza d’altri tempi.

La Russia ci catapulta in una dimensione da colossal cerebrale di fantascienza a partire dalla grande struttura multi-cromatica che sembra stampata in 3D, passando dalla sala d’accoglienza con effetto eco-strabiliante, alla spettacolare proiezione in videomapping che risulta un’efficace alternativa alle innumerevoli proiezioni da sala che abbondano e spesso annoiano in molti altri padiglioni. Una cultura talmente ricca che anche il cafonismo più spinto fatica a scalfire.

Il Kazakistan potrebbe risultare interessante per la soluzione costruttiva con rivestimento traforato che lascia un’intercapedine di pochi metri su tutto il volume dell’edificio sottostante, contribuendo così ad un microclima apprezzabile. Stupisce come si possa pensare che la formula sequestro in comitiva, trascinamento forzato attraverso l’esposizione, spettacolo finale con propaganda di regime, possa ancora interessare a qualcuno che non sia cittadino del paese in questione. Il villaggio globale qui fatica ad arrivare, ed emanciparsi dalla condizione di eterno stato emergente non è poi così semplice.

Il Brasile stupisce per la sua capacità di poter ancora una volta attrarre le masse con intuizioni semplici ma geniali che esprimono in pieno la natura di un evento di questo tipo: dopo la grande rete di Milano, l’acqua la fa da padrona a Dubai ma con lo stesso identico intento, farci tornare per un attimo tutti quanti bambini. Fare tanto con poco, per la gioia di tutti.

Il Pakistan si propone come uno scrigno prezioso e gioioso di modernità che nasconde al proprio interno storie di viaggi ai confini del mondo attraverso tradizioni millenarie. Le usanze si mescolano ai profumi delle spezie e i colori di stoffe e, per un attimo, ci si sente trasportati altrove. L’esperienza perde consistenza sul capitolo delle eccellenze industriali, cosa che accade in molti altri padiglioni, mentre il negozio di stoffe e artigianato ci riporta a sognare terre lontane. Per raccontare una bella storia ci vuole la giusta atmosfera.

Finita questa esplorazione ci si aspetterebbe che la parabola del circo porti a qualche fantomatico effetto farfalla con un cavo che si spezza e il tendone che si affloscia sul pubblico pagante in delirio. Al contrario, niente polemiche nei confronti di un paese (gli Emirati Arabi Uniti) che, nonostante le tante contraddizioni, sta riuscendo, almeno sulla carta, a crearsi un futuro lontano dalle limitate risorse del sottosuolo. Occasione di riflessione per noi italiani, che continuiamo invece a vivere in un nostalgico passato che ormai non ci vede più protagonisti nel mondo ma solo artigiani di un saper fare che pian piano sta svanendo.

 

Autore

  • Ivan Parati

    Designer, focalizza la sua ricerca ed i suoi esperimenti didattici su modularità, geometria e commistione tra manualità e fabbricazione digitale, incline all’innovazione ma conscio delle insidie che la tecnologia potrebbe tendere alla nostra società. Appartiene da oltre un decennio alla scena culturale degli Emirati Arabi, partecipando a fondare e sostenere diverse iniziative, al fine di creare un dialogo tra l’industria e la comunità creativa locale con workshop, seminari, installazioni, mostre e progetti di ricerca. Insegna disegno industriale presso la scuola di design della Xi'an Jiaotong-Liverpool University di Suzhou in Cina

    Visualizza tutti gli articoli