DIsabile è un genere?
Quello che è normale è fragile: riflessione sulla diversità applicata alla progettazione urbana
Published 13 gennaio 2025 – © riproduzione riservata
Sei uomo, donna o disabile? Questa domanda ci viene posta dai simboli sulle porte di qualsiasi servizio igienico pubblico. Sebbene cerchi di rispondere a differenze concrete, lo fa in modo riduttivo, approssimativo, senza tenere conto delle sfumature complesse della persona che si trova di fronte.
LA BARRIERA DELLA DISCRIMINAZIONE: L’ABILISMO
Parlare di disabilità e genere insieme può sembrare un’operazione rischiosa, fuori luogo. L’identità di genere ha una dimensione psicologica e culturale, e riflette il nostro sentimento di appartenenza e identificazione nei modelli sociali di femminilità, mascolinità o non-binarietà. La disabilità, invece, è una condizione in cui un individuo può trovarsi a vivere, temporaneamente o permanentemente, nel corso della propria vita.
Pur sembrando concetti molto distanti, la disabilità e il genere condividono una percezione comune: entrambi sono definiti dalla società in termini di normale e diverso e in base a questo si viene inclusi o esclusi dalla vita collettiva. Considerare la disabilità come un attributo fisico, sensoriale o mentale della persona, responsabilizzando il disabile per la propria non-abilità in alcune aree, significa pretendere che sia la persona stessa a doversi adattare al mondo. La disabilità non risiede nella persona, ma è la società normocentrica che disabilita l’individuo.
Considerare la disabilità come un’eccezione alla normalità significa ignorare che chiunque, in qualsiasi momento della propria vita, può sperimentarla. In realtà, la condizione davvero fragile e temporanea è quella della cosiddetta abilità. La disabilità di per sé non è uno svantaggio; è la società che crea barriere, decidendo arbitrariamente chi abilitare e chi disabilitare. La prima barriera che una persona con disabilità affronta è l’abilismo: una discriminazione che limita e compromette a vari livelli la partecipazione paritaria alla società.
ESCLUSIONE, INCLUSIONE, PRIVILEGIO
La discriminazione colpisce trasversalmente le persone, non solo quelle con disabilità. La progettazione di città, edifici e oggetti si è storicamente basata su un modello antropometrico standard. Ma quanto può essere inclusivo un riferimento che contempla solo l’individuo maschio, bianco, e normale come unico metro di misura? E quanto è costruttivo ignorare, considerando minoritaria, la vasta pluralità di persone che non rientrano in tale modello: donne, bambini, anziani, persone con disabilità, e chiunque si discosti dall’ideale di normalità?
I luoghi che abitiamo, in cui ci muoviamo e dove esercitiamo la nostra socialità, dovrebbero essere pensati per tutti gli individui. Invece, l’inclusione è direttamente proporzionale al privilegio sociale di cui ciascuno gode: più si è in alto nella scala del privilegio, più gli spazi risultano inclusivi per quella categoria; meno si è privilegiati, più gli spazi diventano escludenti. Il privilegio è legato all’inconsapevolezza del vantaggio che si ha: non si riconosce ciò di cui non ci si preoccupa, perché le barriere sono invisibili per chi non le vive direttamente, e non si avverte la necessità di modificarle. Una persona senza disabilità motoria difficilmente noterà la pendenza di una rampa o il dissesto di un marciapiede.
Una persona giovane e sana non si stancherà stando in piedi in coda a uno sportello postale. Chi si identifica con il genere assegnato alla nascita non avrà difficoltà a scegliere quale porta varcare in un bagno pubblico. Chi è magro non avrà problemi a sedersi su un sedile di treno. Chi possiede la cittadinanza del paese in cui vive non incontrerà ostacoli nell’accesso ai servizi come sanità o istruzione. E nessuno di loro avrà probabilmente consapevolezza del privilegio che accompagna queste azioni quotidiane.
L’etnia, il colore della pelle, lo status socioeconomico, il livello di istruzione, il sesso, il genere, l’orientamento sessuale, la (dis)abilità, l’età, l’affiliazione religiosa, l’aspetto fisico e il tipo di alloggio raccontano la nostra identità sociale e il nostro grado di inclusione. Rientrare tra i privilegiati è un caso, e non è una colpa trovarsi tra i più svantaggiati: il privilegio non è meritato.
IMPORTANZA DELL’INTERSEZIONALITÀ IN URBANISTICA
Di fronte a questa pluralità di vissuti e disparità, è fondamentale adottare un approccio intersezionale: non possiamo combattere una disuguaglianza ignorando le altre. Per affrontare una battaglia intersezionale, bisogna riconoscere tutte le discriminazioni che gli individui subiscono, senza tralasciare nessuna dimensione del problema. È essenziale anche essere consapevoli dei privilegi che si possiedono e capire quando si è parte di un sistema che opprime. Un approccio virtuoso è quello dell’urbanistica di genere, che riconosce come le città siano lo specchio delle disuguaglianze sociali e che propone un punto di vista più ampio rispetto alla pianificazione tradizionale.
Essa cerca di includere differenze e bisogni di soggetti che spesso sono stati ignorati dalla pianificazione urbana convenzionale. Esempi di questo approccio si possono trovare a Vienna, sin dagli anni ‘90, o in Italia, nelle iniziative dell’associazione Sex & the City di Azzurra Muzzonigro e Florencia Andreola (ne parliamo anche nell’inchiesta Architettura Sostantivo Femminile)
Se vogliamo vivere in spazi funzionali, è necessario garantire la presenza attiva delle persone e il sistema di relazioni tra di loro. Una società equa non può più ragionare in termini di normale/diverso, ma deve abbracciare la diversità reciproca e la convivenza delle differenze.
Una società normocentrica è intrinsecamente debole, perché considera un unico modello umano come possibile, relegando tutti gli altri alla condizione di fallati, senza riconoscere la diversità come una ricchezza.
Come scrive Vera Gheno, “i privilegi non sono una coperta corta: ampliare la base di chi ne beneficia non significa togliere qualcosa a chi già ne gode”.
Immagine copertina: HELMANN
Diagrammi: Ruota del potere e del privilegio: immagine rielaborata sulla base di quella presente al sito – Piramide dell’abilismo: fonti varie che rimandano al sito
Arianna Cavallo, Ludovica Lugli, Massimo Prearo (a cura di), Cose spiegate bene. Questioni di un certo genere, Iperborea, 2021
Caroline Criado Perez, Invisibili, Einaudi, 2021
Elena Granata, Il senso delle donne per la città. Curiosità, ingegno, apertura, Einaudi, 2023

Lucia Ferretti, architetta (Università di Ferrara, 2013), ha conseguito il diploma di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio presso l’Università IUAV di Venezia. Collabora con lo Studio Bettini Architetti di Bologna, in qualità di responsabile dei progetti per l’abbattimento delle barriere architettoniche, sensoriali e cognitive e dei relativi piani (PEBA), con particolare riguardo agli edifici sottoposti a vincolo di tutela del Ministero della Cultura. Dal 2023 collabora anche con la Pinacoteca Nazionale di Bologna, dove si occupa dei temi della sicurezza all’interno delle sedi museali storiche.