Freespace: i Padiglioni Nazionali

Arabia Saudita (©Elena Franco)

Arabia Saudita

Alla sua prima partecipazione, il paese, curato da due donne, indaga gli spazi che stanno in mezzo alla densità – L’installazione più del programma. L’Arabia Saudita esordisce alla Biennale Architettura costruendo 5 grandi spazi (“Spaces in Between”, che danno anche il titolo alla presenza) al piano terra di uno degli edifici delle Sale d’Armi.

Spagna (©Elena Franco)

Spagna

“Becoming” illustra una necessaria e radicale fase di trasformazione per il paese con un padiglione che si svuota per trasferirsi su pareti che diventano colorati murales – L’ampio padiglione spagnolo, ai Giardini, è una concreta presa di contatto con il cambio di stilemi e chiavi di lettura dovuto alle crisi degli ultimi anni. Ricordate la Spagna frontiera dell’architettura contemporanea europea? Ricordate – 2 anni fa – il bel padiglione che rappresentava i segni tangibili della crisi in termini di costruzioni mai finite? Tutto molto lontano. Alla 16. Biennale la curatrice Atxu Amann fa piazza pulita (il freespace) di tutto o quasi.

© Laura Milan

Argentina

La Vértigo Horizontal del paesaggio, quello delle sterminate pampas e quello realizzato dall’uomo dopo il 1983, sono al centro di un padiglione suggestivo che si espande ben oltre i suoi confini fisici – “… la più frequente tra tutte quelle espressioni, che troviamo succeda quel che succeda e costi quel che costi, è la famosa definizione di La Rochelle: la pampa: vertigine orizzontale” (El río sin orillas, Juan José Saer). Curata da Javier Mendiondo, Pablo Anzilutti, Francisco Garrido e Federico Cairoli, la partecipazione dell’Argentina alla 16. Biennale parte da qui per addentrarsi in un freespace fisico, metaforico e politco che restituisce un territorio come costruzione collettiva in cui dialogano il paesaggio e l’ambiente costruito.

©Elena Franco

Austria

“Thoughts Form Matter” – I contributi dei tre studi (Henke Schreieck, LAAC, Sagmeister & Walsh), invitati dalla curatrice Verena Konrad, interpretano il concetto di Freespace con tre installazioni spaziali che si compenetrano e convergono in parte l’una nell’altra; concretizzano e visualizzano concetti quali “deviazione”, “atmosfera” e “bellezza”. Lo spazio libero viene concepito come “ideale” e dinamicamente complesso e riunisce dentro e fuori, verticale e orizzontale, il padiglione storico e il linguaggio dell’architettura e del design contemporanei. “Thoughts Form Matter” ambisce ad essere un invito sia a riconoscere il potere dell’architettura in quanto indagine intellettuale, sia alla libertà di progettare spazi svincolati da questioni funzionali od economiche.

Danimarca (©Elena Franco)

Danimarca

Possible Spaces: quattro progetti (+1) per proposte di sviluppo sostenibile – Nuove pratiche per aree già edificate e innovazione per lo sviluppo sostenibile sono le parole chiave di un padiglione danese che racconta attraverso quattro progetti selezionati da Natalie Mossin altrettante proposte di sviluppo sostenibile. In comune hanno la pluridisciplinarità: sono progetti che vedono la collaborazione di diversi settori e professioni a tutti i livelli della società perché i “Possible Spaces” evocati nel titolo si riferiscono a quegli spazi che si sviluppano quando si realizzano inedite soluzioni a più mani, che vedono nuovi metodi digitali e pluridisciplinari di design e costruzione, una nuova mobilità (anche fin troppo visionaria, forse, quella delle capsule dei BIG con Virgin Hyperloop One), e che si preoccupano di ricostruire l’identità e la memoria di luoghi perduti (la riedificazione del Bade hotel distrutto da un incendio) e rendendo sostenibile il patrimonio esistente (edilizia sociale). Sostenibilità e innovazione richiedono nuove soluzioni architettoniche; e dall’esposizione emerge come non sia un compito solo imputabile all’architetto. I nordici, che sono bravi a fare squadra, ci esortano a lavorare insieme e trasversalmente alle varie discipline, istituzioni e persone.

Finlandia (©Elena Franco)

Finlandia

“Mind-building” – Il padiglione finlandese curato da Anni Vartola parte da una tipologia specifica, l’architettura delle biblioteche e degli spazi bibliotecari pubblici, per indicare il luogo simbolo in cui si coltiva la libertà intellettuale e la creatività. Freespace quindi inteso come uno spazio libero per imparare, creare e condividere. Uno spazio pubblico non commerciale, aperto a tutti, gratuito.

Messico (©Elena Franco)

Messico

“Echoes of a Land” – Uno spazio molto ordinato presenta una teoria di strutture metalliche -realizzate in assonanza con quelle originali dell’edificio- che portano straordinari pannelli/modelli in pietra. Queste ampie pareti offrono lo spazio per lo scorrere della narrazione, fatta di contrasti e vulnerabilità permanenti che caratterizzano il territorio del paese.

Svizzera_01©Elena Franco

Svizzera

“240: House Tour” – Le dimensioni, si sa, contano. Eccome. La Svizzera ne fa una questione di principio e mette in mostra, nel suo Padiglione dei Giardini, un percorso di sensazioni che ti trasformano, in pochi passi, ora in un lillipuziano ora in un gigante. Un’esperienza oggettivamente coinvolgente, quasi come fosse uno di quei trenini dei luna-park. Qui non ci sono mostri finti e nemmeno gallerie buie. Tutto il contrario: l’interno (che ricostruisce uno spazio residenziale puro e non arredato) è luminosissimo ed etereo. Parquet chiaro sul pavimento, muri e soffitti bianchissimi, così come gli allestimenti delle cucine e i frutti dell’impianto elettrico. E bianchissimi, con maniglie cromate, sono anche i serramenti. Una tabula rasa della percezione architettonica, un freespace liberato da orpelli ed ostacoli.

Indonesia (©Elena Franco)

Indonesia

Sunyata: The Poetics of Emptiness – Sulle panche poste ai lati dello spazio unico del padiglione campeggia la scritta Enjoy the Silence. Ci si siede e si guarda in silenzio la dolce curva dei candidi fogli di carta appesi baciati dalla luce. Non capita spesso, ma quando capita è un sicuro indice: un allestimento che induce al silenzio, come un’architettura che riesce a farlo, è un buon allestimento. Sunyata: la poetica del vuoto è il titolo di questo piccolo padiglione che rischia di essere uno dei più riusciti di questa Biennale. Lo è per la sobrietà dei mezzi usati in rapporto alla quieta monumentalità del risultato.

Santa Sede, Eduardo Souto de Moura (©Elena Franco)

Santa Sede

“Vatican Chapels”: lo scandalo della Croce – La porta stretta da cui si accede alla cappella di Terunobu Fujimori sembra la perfetta metafora dell’insegnamento evangelico su coloro che si salvano (Luca, 13,24). E, dei dieci progettisti di rango prescelti dalla Santa Sede per realizzare le cappelle, ben pochi riescono a varcare quella porta.

Canada (©Elena Franco)

Canada

Con “UNCEDED: Voices of the Land” (che all’Arsenale celebra l’architettura delle culture indigene) e “Canada Builds/Rebuilds a Pavilion in Venice” (che ai Gardini celebra il restauro del padiglione e la sua storia) il Canada raddoppia la sua presenza in Biennale – Canada 1 e Canada 2: come in una gara di bob i due padiglioni si lanciano in questa Biennale 2018 con attitudini completamente diverse. Da una parte, ai Giardini, un colto restauro di un padiglione degli anni cinquanta, dall’altra, all’Arsenale, una video installazione che celebra l’architettura delle culture indigene. Il progetto UNCEDED, coordinato dall’architetto, filosofo, attivista per i diritti umani Douglas Cardinal, insieme ad Anishnawbe Elders, analizza l’architettura indigena di tutta Turtle Islands, l’antico nome del paese, nella convinzione che “è opportuno che gli architetti indigeni di Turtle Island abbiano l’opportunità di esprimere il loro contributo unico a una visione del mondo in espansione. UNCEDED riflette sul bisogno di riconciliazione del nostro Paese, costringendoci a mettere in discussione la neutralità dei nostri ambienti costruiti e della terra in cui posano” come ha affermato Simon Brault, direttore e CEO del Canada Council for the Arts, commissario dell’esposizione.

© Michele Roda

Portogallo

In “Public without rhetoric” 12 progetti pubblici dialogano, attraverso un allestimento misurato ed evocativo, con gli spazi di Palazzo Giustinian Lolin – Chi riparte da Venezia chiedendosi “Ma l’architettura dov’era? Ma i disegni?”, probabilmente non ha visitato il Padiglione Portogallo. Ci vuole effettivamente una forte motivazione: Palazzo Giustinian Lolin è vicino al Ponte dell’Accademia, sul Canal Grande. Lontano il festoso caos della vernice della 16. Biennale che si respira all’Arsenale e ai Giardini. Ma proprio questa condizione (il Portogallo non ha un suo padiglione) ha permesso di trovare uno straordinario Palazzo veneziano – sede della fondazione Ugo e Olga Levi – i cui spazi non sono banali contenitori ma artefici di un percorso che profuma di eleganza e raffinatezza.

Giappone (©Emanuele Piccardo)

Giappone

“Architectural Ethnography: Portraits on Livelihood”: una partecipazione sottotono – È il tema dell’etnografia architettonica quello sviluppato dai curatori Momoyo Kajima, Laurent Stadler e Yu Iseki. I visitatori sono invitati a compiere, immersi in un atto zen, dieci azioni: scegliere un disegno, immergersi nella forma del disegno, mettere in scena la vita con l’architettura, osservare le linee e gli spessori del disegno, guardare il disegno nel dettaglio ma allontanarsi per vederlo nel suo insieme, e ancora chiedere una scala per vedere meglio i disegni collocati in alto, condividere le opinioni con gli altri visitatori e poi nel piano terra del padiglione viene data la possibilità, nel mercato degli Yata, di disegnare ed esprimersi liberamente.

Francia (©Emanuele Piccardo)

Francia

“Infinite Places –  Building or Making Places?”: la grandeur lascia il passo alla partecipazione – Encore Heureux, curatori del padiglione, interpretano il concetto di Freespace tenendo il punto sul rapporto tra pubblico e cittadini, dimostrando una prerogativa nella riconversione di immobili attraverso processi d’interazione tra comunità diverse: politica, sociale, architettonica.

Stati Uniti d'America (©Emanuele Piccardo)

Stati Uniti

“Dimensions of Citizenship”: quando l’architettura sfida la politica – È uno dei padiglioni più politici, che si pone contro le derive razziste dell’amministrazione Trump rappresentando il concetto di cittadinanza attraverso sette temi: Citizen, Civitas, Region, Nation, Globe, Network, Cosmos. L’architettura indaga il senso di collettività e l’influenza delle tecnologie digitali che velocizzano il processo della globalizzazione. La sfida americana definisce così varie scale di intervento, focalizzandosi su alcuni temi chiave della politica come il rapporto confine-migrazione clandestina, tuttavia necessaria allo sviluppo dell’economia americana, e l’eterna questione della colonizzazione dello spazio dell’Universo in un delirio di onnipotenza, imponendo al mondo le conquiste Made in USA.

Paesi Nordici (©Elena Franco)

Paesi Nordici (Finlandia – Norvegia – Svezia)

Another Generosity suggerisce una riflessione tra artificio e natura e natura e ambiente costruito, con l’architettura che diventa tramite per la coesistenza – In un’architettura che, disegnata da Sverre Fehn nel 1962, non smette di essere fra le migliori in assoluto della cultura del progetto internazionale, una delicata installazione di macrocellule tecnologiche dalla grazia leggera di un film di fantascienza che vorremmo aver visto ci suggerisce con grande discrezione una riflessione sul rapporto fra artificio e natura, fra natura e ambiente costruito, fra ambiente costruito e funzioni vitali dell’uomo: forse non arrivando ad una risposta, ma sicuramente appagando il nostro bisogno di pensare.

Cina (©Elena Franco)

Cina

Building a Future Countryside è un Manifesto che attraverso sei sezioni tematiche guarda alle aree rurali e ai progetti per l’alternativa allo sviluppo urbano – Il Padiglione della Cina, “Building a Future Countryside”, si cimenta con gli ambiziosi temi mirati ai progetti di sviluppo dell’immensa provincia rurale della Cina. Il curatore Li Xiangning – docente della Facoltà di Architettura e Urbanistica alla Tongji di Shanghai – ritiene scopo primario della mostra indagare se e come lo sviluppo possa combinare modernizzazione e tradizione riscoprendo i valori della vita di comunità, valori estremamente importanti nella storia recente e passata della Cina. In sei sezioni tematiche – Produzione, Turismo, Comunità, Cultura, Abitazione e Futuro – interessanti architetti cinesi contemporanei cercano di interpretare nei loro progetti come possa essere una “campagna del futuro”.

Irlanda (©Elena Franco)

Irlanda

Free Market: il Freespace celebra i luoghi del mercato delle piccole città irlandesi – La città rurale è un posto importante in Irlanda, con un’identità unica, caratterizzata da culture urbane distinte e radicati sistemi di scambio sociale e commerciale. Mentre molti di questi paesi vivono ora sfide economiche difficili, la storia comune del loro declino è proposta come opportunità di rilancio della vita sociale piuttosto che del modello economico che hanno rappresentato. “Free Market” ribadisce la piazza del mercato come luogo pubblico di scambio sociale, politico e culturale, centrale per la coesione della comunità.

Gran Bretagna (©Elena Franco)

Gran Bretagna

All’interno di una Biennale affollatissima, per i britannici l’unico freespace possibile è il tetto del proprio padiglione – Non fatevi ingannare dalle impalcature che lo avvolgono, non  è in ristrutturazione, ma sorregge e conduce alla grande terrazza costruita sulla copertura, mentre l’interno del padiglione è accessibile, ma vuoto. Scelti attraverso una open call dal British Council, organizzatore del padiglione, i curatori di questa edizione, lo studio di architettura londinese Caruso St John Architects in collaborazione con l’artista Marcus Taylor, hanno infatti deciso di distaccarsi dalla consuetudine.

Grecia (©Elena Franco)

Grecia

The School of Athens: spazi di circolazione all’interno dei luoghi per l’insegnamento – I freespace sono i percorsi e comunque tutto ciò che non è aula all’interno degli edifici accademici: spazi comuni e di passaggio, ambienti non definiti da un uso preciso, ma che sono visti come spazi di relazione. Per i curatori si tratta di spazi informali, “in-between”, che caratterizzano e storicamente hanno caratterizzato gli spazi educativi nella nostra civiltà: potenziali luoghi per l’insegnamento, non proprio una stanza chiusa funzionale all’apprendimento, allo scambio di informazioni, nozioni e conoscenze.

Germania (©Elena Franco)

Germania

Unbuilding Walls. From Death Strip to Freespace – I muri dividono e rompono la continuità. Non realizzano un “freespace”, ma esattamente il contrario: 2 realtà contrapposte. E la vicenda tedesca lo ha dimostrato con il più tremendo muro della recente storia europea. Ma è proprio il Padiglione tedesco alla 16. Biennale – 28 anni dopo il 1989 – che prova a fornire nuove e alternative dimensioni e direzioni.

Russia (©Elena Franco)

Russia

Il Freespace esplorato attraverso la ferrovia e il susseguirsi di cinque stazioni – La Russia esplora il tema Freespace sulla base di una riflessione del curatore Semyon Mikhailovsky, che vede lo sterminato territorio esteso su dodici fusi orari come la naturale dimensione del paese. Per conoscere, capire, percorrere questo spazio lo strumento è la ferrovia e il padiglione si concentra sul passato, sul presente e sul futuro del sistema infrastrutturale russo, quasi un apparato nervoso e circolatorio di un corpo immenso.

Australia (©Elena Franco)

Australia

Una prateria australiana in Laguna metafora di un nuovo equilibrio con la natura e l’ambiente – Negli spazi del padiglione progettato da Denton Corker Marshall Architects, aperto a maggio 2015, l’Australian Institute of Architects ha affidato alla coppia di architetti Mauro Baracco e Louise Wright e all’artista Linda Tegg il compito di stimolare nei visitatori “nuovi modi di pensare e vedere il mondo, inventare soluzioni in cui l’architettura assicuri il benessere e la dignità di ogni cittadino in questo fragile pianeta”. Il tema guida Freespace è elaborato a partire dal concetto di “Repair” per instaurare un “dialogo tra l’architettura e le specie vegetali in via di estinzione”.

EAU (©Elena Franco)

Emirati Arabi Uniti

Il paese del Golfo guarda alla vita di tutti i giorni e ai suoi spazi attraverso quattro paesaggi umani e urbani – Gli Emirati Arabi Uniti scoprono che esiste una vita quotidiana dietro il gigantismo delle nuove città del golfo, scoperta che era già stata annunciata nella scorsa edizione della Biennale ove il padiglione era stato dedicato alla forma tradizionale degli insediamenti storici dell’area. Ne nasce un’esposizione che indaga quattro temi: gli insediamenti residenziali, la maglia delle strade urbane, i blocchi urbani e la relazione con gli spazi naturali.

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