Padiglioni Biennale: Francia, cantiere per l’adattamento
La partecipazione francese si confronta con un edificio in restauro. Poco convincenti le scelte di un team curatoriale che mette in mostra anche se stesso
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Published 10 giugno 2025 – © riproduzione riservata
“Vivre avec” (vivere con) è il titolo del padiglione francese alla 19° Biennale di Architettura veneziana, a cura di Dominique Jakob, Brendan MacFarlane (Jakob+Macfarlane architectes), Martin Duplantier (Martin Duplantier Architectes) e Éric Daniel-Lacombe (EDL architectes).
Una selva di tubi metallici
Anche questo padiglione (come quello centrale ai Giardini) è in restauro, così i curatori decidono di allestire una struttura in tubi e giunti metallici, tipologia di allestimento che va per la maggiore in questa edizione biennalesca, generando una sorta di protesi all’esterno dell’edificio il cui esito formale è poco efficace.
D’altronde i padiglioni francesi delle Biennali precedenti sono sempre stati problematici anche nei contenuti, con una capacità maggiore da parte dei curatori d’arte contemporanea rispetto agli architetti.
I temi espressi dal curatore Carlo Ratti, in un dialogo teorico tra intelligenze naturali, umane e artificiali, pare non coinvolgere i francesi che invece prendono un’altra strada. “Vivre avec“ è composta da sei sezioni: vivere l’esistente, la prossimità, il danneggiato, la vulnerabilità, la natura e il vivente, le intelligenze riunite.
Una call ha scelto i progetti, ben 50, selezionati da una giuria variegata, composta dal giornalista Francis Rambert direttore di una sezione della Cité de l’Architecture (non solo noi abbiamo giornalisti che dirigono Ministero e Biennale!), Bernard Desmoulins dell’Académie de Beaux-Arts, dalla curatrice indipendente Océane Ragoucy, dalla presidente del Global Award for Sustainable Architecture Jana Revedin, dalla filosofa Chris Younès e dalla fondatrice della rivista d’Oltralpe “Le Moniteur” Anna Yudina.
Hanno selezionato progetti provenienti dalla Francia (metropolitana, Guyana francese, Mayotte, Martinica) e da numerosi altri paesi in tutto il mondo.
I progetti che guardano ai processi
Se scorriamo la storia dei padiglioni, non possiamo non ricordare il bellissimo progetto curato dallo storico dell’architettura Jean-Louis Cohen nel 2014, dal titolo “Modernità: promessa o minaccia?“, nell’edizione dei “Fundamentals” del curatore Rem Koolhaas.
E, ancora, “Lieux Infinis” curato nel 2018 da Encore Heureux, collettivo di architetti fondato a Parigi nel 2001 da Julien Choppin e Nicola Delon. Il tema verteva su ciò che i francesi sanno fare meglio: lavorare sull’esistente attraverso progetti di riqualificazione urbana e rigenerazione partecipata dal basso di spazi abbandonati.
Analizzando i progetti selezionati, tra realizzati e rimasti sulla carta, molti riguardano, come sempre, più i processi che li generano piuttosto che l’esito formale e funzionale delle architetture. I piani della ricostruzione in Ucraina, una scelta senza dubbio meritevole da parte del team curatoriale.
Storie (internazionali) di adattamento
Tuttavia, si segnalano alcuni temi emergenti come l’adattabilità al cambiamento climatico, espressi attraverso parchi e spazi urbani attrezzati, villaggi ecologici ed educazione alla natura.
È il caso di “Le Potager Extraordinaire” di Guinée Potin Architectes, che valorizza la dimora storica del naturalista della Vandea Georges Durand (1886-1964) e delle sue importanti collezioni attraverso la scelta di trattare le facciate esterne dell’architettura con una epidermide in paglia di palude, che copre anche il tetto e gli conferisce un aspetto organico.
Alla necessità di adattarsi al cambiamento climatico guarda il progetto di Atelier Iris Chervet per il borgo marinaro di Genêts in Normandia che si sviluppa su tre scale di intervento: la baia, il centro urbano, l’edificato, sviluppando delle strategie per affrontare il fenomeno delle maree.
Sempre sullo stesso tema, dopo le alluvioni nel 2015 e 2019 a Mandelieu, in Costa Azzurra, Eric Daniel-Lacombe propone di trasformare i frutteti in una zona naturale protetta, formando un giardino pubblico con argini di contenimento successivi e aprire canali di deflusso verso il mare. Diverso è invece lo scenario in cui agisce Khoury Arquitetura, nell’Amazzonia brasiliana con il social housing concepito con case su palafitte, per prevenire le inondazioni.
Ed infine la foresta urbana Bo Vo ad Hanoi (Vietnam) ospita oltre 100 specie di uccelli migratori e 241 varietà di piante, vittima di vandalismo e invasa da specie infestanti. L’architetto franco-vietnamita Trung Mai vi progetta padiglioni e passerelle per ricostruire un habitat consono a piante e animali, in cui i visitatori entrano come un’azione iniziatica alla foresta.
Immagine di copertina: il padiglione francese ai Giardini della Biennale di Venezia (@ Marco Zorzanello, courtesy La Biennale di Venezia)
Living With/Vivre Avec
Padiglione Francia alla 19^ Biennale di Architettura di Venezia
Sede: Giardini
Commissario: Institut français per conto del Ministero dell’Europa e degli Affari Esteri e del Ministero della Cultura
Curatori: Dominique Jakob e Brendan MacFarlane, Éric Daniel-Lacombe, Martin Duplantier
Visitabile fino al 23 novembre 2025
Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra “Radical City” all’Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra “Sottsass Oltre il design” allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra “Paolo Soleri. From Torino to the desert”, per celebrare il centenario dell’architetto torinese, nell’ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l’opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro “Giancarlo De Carlo: l’architetto di Urbino”


