@ Giovanni Hänninen, Eliporto, Salorno (BZ)

Autostrada del Brennero, l’Europa passa da qua

Autostrada del Brennero, l’Europa passa da qua

L’autostrada contemporanea è, sempre più, un microcosmo su cui convergono istanze ed esigenze, dove opportunità e criticità s’intrecciano

 

Published 31 maggio 2024 – © riproduzione riservata

TRENTO. Anche i luoghi dove si discute hanno la loro importanza. Quello scelto per la giornata conclusiva del convegno internazionale dedicato alle prospettive e alle retrospettive dell’Autostrada del Brennero è decisamente simbolico: un tempo era una galleria stradale, a Piedicastello, appena al di là dell’Adige e nei pressi dell’uscita autostradale. “Luogo ideale per parlare di cultura del progetto della mobilità”, sintetizza con efficacia il padrone di casa, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo Storico del Trentino.

Tutela e valorizzazione degli elementi identitari esistenti. Riduzione degli impatti ambientali. Più intensa integrazione nel paesaggio. E ancora, sviluppo delle tecnologie digitali per la gestione dei flussi e hub multimodali invece delle aree di servizio a cui siamo abituati. Altro che semplice “nastro d’asfalto”: l’Autostrada del Brennero è l’emblema di un approccio (architettonico) al tema della strada a rapido scorrimento.

 

Preservare, mantenere, trasformare

Storia e presente, con una visione puntata verso il futuro. Lo dice, aprendo la sessione trentina, Diego Cattoni, amministratore delegato di Autostrada del Brennero SpA: “Le sfide da affrontare sono molte, e per questo abbiamo bisogno di aggiornare studi e letture sul tema”. In precedenza, Carlo Costa, direttore tecnico generale di Autobrennero, ne aveva elencate alcune durante l’introduzione alla prima giornata milanese: “Ci muoveremo lungo le autostrade in modo diverso in futuro. E i viaggiatori richiedono anche altro rispetto al guidare con efficacia e velocità: per esempio strutture che sappiano comunicare il territorio in cui si trovano. Puntiamo a far diventare quelli che oggi sono definiti dei non-luoghi in una serie di super-luoghi”. Il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano ha interpretato questo orizzonte in trasformazione con un percorso denso e intenso: “Abbiamo fatto ricerca nel senso più ampio del termine”, dice Andrea Gritti, professore di progettazione architettonica e responsabile del gruppo di lavoro. “Abbiamo scandagliato gli archivi, tra cui quello straordinario della Fondazione ing. Lino Gentilini, abbiamo rappresentato il paesaggio attraversato dall’autostrada e costruito mappe, perché un architetto fa prevalentemente quello. Disegni e grafici che aiutano a comprendere come il tracciato dell’Autostrada del Brennero sia stato immaginato, progettato e costruito. E come sia diventato il fattore decisivo, dopo oltre 50 anni di vita, della progressiva definizione di uno spaccato emblematico del paesaggio italiano”. Un corpus di conoscenze grazie alle quali sarà possibile un’ancora più consapevole azione di tutela, salvaguardia e manutenzione di quella che è a tutti gli effetti una strada europea.

 

Architetture nel paesaggio

Viadotti, tunnel, ponti, aree di servizio, caselli. Le autostrade – più di altre architetture, più di altre infrastrutture – definiscono una geografia integrata di luoghi ed elementi riconoscibili, disposti linearmente lungo il tracciato. L’Italia – per un periodo di almeno tre decenni, dal secondo dopoguerra in avanti – ha saputo esprimere straordinarie competenze nel campo dell’ingegneria e della costruzione di grandi opere d’arte civile (non è fuori luogo definirla anche architettonica) che lascia in eredità un patrimonio spesso non adeguatamente riconosciuto e valorizzato.

La ricerca condotta dal DAStU del Politecnico di Milano per l’Autostrada del Brennero SpA ha, tra gli altri meriti, anche questo: un forte impegno per comprendere e comunicare il senso e l’identità di questi dispositivi. Ne hanno parlato in una tavola rotonda Tullia Iori, docente di Architettura tecnica all’Università di Roma Tor Vergata e Silvia Di Rosa, presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Trento. Dalle loro parole emerge – insieme agli affascinanti racconti a loro modo eroici delle fasi della progettazione (Bruno e Lino Gentilini, progettisti di gran parte delle opere d’arte civile della A22, e in questo senso autentici precursori e sperimentatori) – una condizione contemporanea complessa e che necessita di un deciso cambio di paradigma.

Le architetture delle autostrade sono un patrimonio della cultura ingegneristica nazionale e come tali devono essere “maneggiate”, pur all’interno di un processo che ne garantisca funzionalità ed efficienza nel tempo. Per questo la logica dell’emergenza è doppiamente sbagliata. Servono quindi (anche sviluppando adeguati percorsi di studio) competenze e sensibilità capaci di orientare le necessarie manutenzioni. Se i fratelli Gentilini sono figure chiave per comprendere la nascita della A22, la sua trasformazione in un’infrastruttura per certi versi eccezionale si deve ad un altro personaggio della nostra cultura progettuale. È a Pietro Porcinai, infatti, che viene affidata – a cantiere già avanzato – una consulenza per l’integrazione paesaggistica dell’autostrada. Senza il suo contributo oggi non avremmo quel “formidabile spaccato di paesaggio contemporaneo, fermato per un istante nel suo pieno processo di evoluzione”, come lo definisce Renato Bocchi, docente di Composizione architettonica e urbana allo IUAV di Venezia. Come Bocchi, anche Antonio De Rossi (che insegna la stessa disciplina al Politecnico di Torino) ha centrato il suo racconto sul ruolo territoriale dell’infrastruttura. Elemento che si tende a dare per scontato e per acquisito di fronte ad un’opera che ha superato il traguardo del mezzo secolo di storia. Ma che in realtà richiede un’attenzione costante. Anche e soprattutto in ambienti poco densi e poco abitati, come quelli delle pianure agricole o delle valli montane (l’Autostrada del Brennero collega proprio questi due estremi), una strada (e soprattutto un’autostrada) si evolve nel territorio e con il territorio. E con le comunità che li abitano.

 

Immagini in movimento

La rappresentazione di questa evoluzione è un ulteriore elemento di riflessione e dibattito su cui la ricerca ha concentrato l’attenzione, con una scelta non scontata. Chiedendo, innanzitutto, ad un fotografo – Giovanni Hänninen – di svolgere una campagna che si è protratta per due anni, nel 2021-22. Un lavoro condensato in un ricco abaco d’immagini all’interno e all’intorno dell’Autostrada (pubblicato nel primo dei tre libri dedicati alla ricerca, Autostrada del Brennero. Architetture e paesaggio – Mappe iconografiche), e che sarebbe sbagliato considerare come un punto di arrivo. La giornata trentina del convegno è stata infatti l’occasione per un intenso confronto (nella forma di una tavola rotonda dal titolo Paesaggi in sezione: immagini e realtà lungo le autostrade) sulle modalità e sui metodi della rappresentazione del territorio e del paesaggio. Non ci sarebbe potuta essere introduzione più appassionante di quella di Giovanna Calvenzi. Da storica e critica della fotografia, curatrice dell’Archivio Gabriele Basilico, Calvenzi ha delineato un percorso di evoluzione, ripreso poi dallo stesso Hänninen, degli sguardi che i fotografi, e in primo luogo Basilico, hanno rivolto alle città e alle loro infrastrutture: una storia che restituisce non solo la contemplazione e l’estetica degli spazi, ma soprattutto il processo della costruzione del punto di vista, in un rapporto spesso empatico tra fotografo e luogo. Le campagne fotografiche di spazi urbani (e, in misura minore, delle strade, come dimostra lo straordinario viaggio intrapreso tra Parigi e Marsiglia da Julio Cortázar e Carol Dunlop) si sono spesso trasformate in efficaci strumenti per prendere le misure di un territorio. Diventando indispensabili repertori e orizzonti per la cultura architettonica.

Ne ha parlato, chiudendo l’incontro, Carmen Andriani, docente di Composizione architettonica e Urbana all’Università di Genova: “Ovviamente le belle fotografie riempiono gli occhi, ma quello che rappresenta davvero un elemento straordinario del lavoro dei fotografi, e una risorsa per chi si occupa di modificazione e trasformazione spaziale, è il processo che porta allo scatto. In quel percorso di avvicinamento, in quella progressiva “messa a fuoco”, gli architetti possono trovare le scintille per conquistare una rinnovata consapevolezza dei luoghi. Che poi si traduce in interventi compatibili e coerenti”.

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