Giovanni Hänninen, Ponte autostradale sul lago di Fortezza (Bolzano)

Tra progresso e impatti: l’autostrada, emblema del futuro

Tra progresso e impatti: l’autostrada, emblema del futuro

Nel convegno, oltre 50 studiosi da tutto il mondo hanno indagato identità e attualità delle autostrade, dai prototipi realizzati un secolo fa fino ai tracciati recenti

 

Published 31 maggio 2024 – © riproduzione riservata

MILANO. Il tema del convegno, organizzato dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, ha intercettato posizioni e competenze. Non solo architetti ma una ricca pluralità di esperienze e di competenze (dall’ingegneria della mobilità all’urbanistica, dal disegno urbano alla sociologia) che ribadisce come, soprattutto oggi, il progetto dell’infrastruttura sia una questione strettamente legata alla dimensione urbana e paesaggistica dei territori e delle comunità che unisce e che quindi non può limitarsi a riflessioni di efficienza e di efficacia dei flussi.

Sono cinque le sessioni in cui sono stati organizzati i contributi al convegno:

  • Retrospettive: storie, eredità e patrimoni;
  • Prospettive: visioni e scenari;
  • Architettura e paesaggio: verso un atlante di casi studio;
  • Ricerca attraverso il progetto: ecologie, energie e transizioni;
  • Oltre la critica: realtà contro immaginari.

Un ampio spettro di temi e approcci, dunque, che testimonia la centralità di una riflessione che intercetta storia, luoghi, teorie e pratiche della progettazione architettonica, urbana e paesaggistica. Il salto concettuale che questa ricerca voluta dall’Autostrada del Brennero e affidata al Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano sta principalmente nell’oggetto (o oggetti, materiali, componenti) su cui si concentra l’attenzione: non solo il tracciato ma anche i margini dell’infrastruttura, gli elementi che riverberano il contesto. Anzi, i contesti, perché la ricerca sviluppa una dimensione plurale: sono contesti fisici e culturali, reali e virtuali, quelli che rendono l’autostrada un tema tanto contemporaneo. Perché, all’interno di un quadro di complesse architetture territoriali, un cambio di paradigma per il progetto è quanto mai necessario: serve staccarsi dagli approcci novecenteschi per affrontare le sfide che le questioni energetiche ed ecologiche pongono. La strada, emblema della mobilità e della libertà, è oggi anche simbolo d’inquinamenti e impatti ambientali. Ribaltare la prospettiva è il compito principale di un nuovo approccio culturale alla questione.

 

100 anni di storie

L’infrastruttura come monumento è una prima categoria – provocatoria, per certi versi – che è stata esplorata nell’introduzione alla prima sessione da Eric Alonzo (OCS/AUSser, École d’Architecture de la Ville & des Territoires Paris-Est, Université Gustave Eiffel; relazione Monumental Motorways): “Le autostrade, simbolo della modernità del 20° secolo, sono ormai oggetto di nuovi approcci, come fossero una componente del patrimonio”. Il racconto parte dalla periferia nord di Milano dove, proprio un secolo fa, viene inaugurato il primo tratto autostradale italiano. “Le graduali e profonde evoluzioni degli standard di costruzione si accompagna ad una progressiva monumentalizzazione di alcuni tratti stradali e di alcune architetture. Un processo con il quale la cultura architettonica deve necessariamente fare i conti”.

Ma non solo: anche le strade abbandonate o in disuso hanno quella forza, “piranesiana”, di conferire identità ad un luogo. Proprio questa modalità di leggere le infrastrutture permette di ritrovare fili interrotti, profondi e intesi. Uno di questi è proposto da Richard Brook (Lancaster School of Architecture, Lancaster University; relazione Machining the Moors: Motorway Landscapes and Policy) e ha come oggetto un’autostrada emblematica, nel nord dell’Inghilterra, la M62, aperta nei primi anni ’70. Adagiata in un paesaggio collinare, è capace d’interagire con altre piccole e grandi infrastrutture di servizio: la sua forma è profondamente integrata nel contesto costruendo un autentico paesaggio infrastrutturale, multi-livello, che si allarga a dighe e bacini di acqua che punteggiano il territorio. Esprime un’ibridazione di valori estetici e funzionali, artistici e tecnici. Una visione olistica, quella proposta dallo studioso britannico, in grado di superare questioni contingenti quali la decadenza tecnica dell’elemento singolo a favore di un approccio ampio, topografico. Si sofferma invece proprio su un singolo – significativo ed identitario – elemento Roberta Albiero (Dipartimento di Culture del Progetto, IUAV Venezia; relazione The Cube, Costantino Dardi). Il suo racconto ritorna a fine anni ’60, quando la costruzione delle autostrade è per l’Italia sinonimo di progresso e sviluppo. In questo orizzonte, a suo modo eroico, Costantino Dardi disegna Il Cubo, un iconico, flessibile e modulare prototipo per stazioni di servizio Agip. La purezza della forma non impedisce un’integrazione paesaggistica e topografica, definendo un rinnovato sistema di riferimento alla scala geografica. Sperimentando, allo stesso tempo, tecniche e materiali innovativi. L’attenzione ad un progetto esemplare permette anche una riflessione sull’obsolescenza di queste opere simboliche e sulle pratiche di conservazione.

Ma leggere lo sviluppo storico di strade e autostrade obbliga anche ad un necessario avvicinamento critico rispetto al ruolo degli assi della mobilità veloce nell’odierna cultura e sensibilità ai temi urbani. Ne ha parlato Guilherme Lassance (Departamento de Projeto de Arquitetura, Federal University of Rio de Janeiro; relazione The Motorway and the City. Design Precedents for a Much Needed Reconciliation) che – anche discutendo le visioni d’importanti progettisti brasiliani, da Lucio Costa a Burle Marx – auspica che la cultura disciplinare possa ritrovare punti di contatto tra la dimensione della città compatta e le infrastrutture stradali. Oggi le due componenti sono (troppo) spesso intese e rappresentate come antitetiche. Prevale la negazione di qualsiasi sintesi possibile, qualsiasi punto d’incontro e forma di coesistenza. Eppure, proprio la storia di città e territori ci dimostra come urbanità e strada possono valorizzarsi a vicenda, contribuendo all’abitabilità e alla vivibilità degli spazi. Sembra doveroso ripartire da qui: una visione allargata al processo storico permette di cogliere le condizioni attuali con una giusta distanza critica, e quindi con una prospettiva adeguata di azione.

 

Eredità e innovazione

La tensione tra eredità e innovazione sembra essere fattore connaturante le infrastrutture stradali. Oggi più che mai, in una fase storica in cui – come più volte ricordato nel corso del convegno – la mobilità stradale è intesa e percepita (spesso con buona dose di un’ideologia che non sembra poter ammettere approcci pragmatici e adattamenti progressivi) come elemento che impatta negativamente sugli ambienti urbani. In pochi decenni il cambiamento di visione è stato radicale, come ha argomentato Rita Occhiuto (LabVTP Unité Recherche Architecture, University of Liège; relazione From LAND OVERLAY to the in-LANDSCAPE DESIGN) grazie ad un caso studio belga. Negli anni ’60 la realizzazione di un attraversamento autostradale a Liegi, che si sovrapponeva alla geografia dei canali d’acqua, era salutato come emblema stesso della modernità. Nel giro di pochi decenni si è trasformato in elemento che frammenta lo stesso paesaggio cittadino. Ma proprio il progetto di architettura può diventare occasione per ridefinire gli equilibri, come testimoniato da alcuni progetti (nel porto di Liegi e vicino al confine con l’Olanda) grazie ai quali “il sistema autostradale può essere ripensato come un’opportunità per costruire nuovi paesaggi relazionali”.

Il contributo di Occhiuto era uno dei molti presentati nella sessione introdotta da Mathieu Mercuriali (École Nationale Superieure d’Architecture de Strasbourg; relazione Lines and Borders. An Atlas of Endless Infrastructure), che ipotizzava la possibilità di costruire un Atlante di casi studio basato su quattro categorie: infrastrutture naturali, tangenziali e urbanizzazione, territori peri-urbani monofunzionali, paesaggi interconnessi. Dalla Colombia all’Italia, i casi-studio presentano una possibile risposta alla domanda inizialmente posta dai curatori del convegno: “Oggi, di fronte alle crisi climatiche e geo-politiche, come possono evolversi e reinventarsi queste infrastrutture fondate sull’economia fossile?”. Per rispondere con efficacia sembra essere necessario quello stesso spirito trasformativo che le strade avevano avuto appunto negli anni del boom economico, quando erano diventate il simbolo di un processo di progressivo controllo stesso della Terra: abbattendo le barriere naturali, abolendo i confini, distruggendo gli eco-sistemi. Esattamente quegli elementi da cui le “nuove” infrastrutture devono prendere spunto e ispirazione.

Un ruolo decisivo – in questo processo di rapporto con la natura – è svolto, storicamente, dai tunnel. Hanno discusso di uno in particolare, quello del Frejus, Massimo Crotti e Marie-Pierre Forsans (rispettivamente Dipartimento di Architettura e Design, Politecnico di Torino e Architecture Office Marie-Pierre Forsans; relazione Landscaping of the Logistics Hub and Gates of the Frejus Motorway Tunnels A32 in Bardonecchia). I nuovi progetti in corso di sviluppo, finalizzati a soddisfare le rinnovate esigenze in termini di sicurezza, hanno evidentemente una ricaduta significativa per l’integrazione nel paesaggio. Soprattutto in un paesaggio alpino, con una topografia connotata, le scelte materiche, formali e compositive risultano decisive per la compatibilità dei nuovi elementi. Emergono alcuni caratteri che sembrano profilarsi come elementi di un linguaggio preciso: strutture in cemento o in pietra, rivestimenti in acciaio Corten, pendii verdi, geometrie riconoscibili e identitarie.

Ha focalizzato il tema della costruzione/ricostruzione, ma da una prospettiva particolare, Jacopo Galli (Dipartimento di Culture del Progetto, IUAV Venezia; relazione Motorways of Reconstruction. Reimagining Infrastructural Systems within new Urban Models). Citando alcuni casi recenti (tra cui quello siriano e ucraino) l’intervento da una parte ha illustrato il ruolo centrale delle strade nei contesti bellici, dall’altro quanto proprio queste infrastrutture primarie siano fondamentali nella prima fase dopo una guerra: “Dare nuova forma alle strade, di qualsiasi dimensione e funzione, diventa basilare per tutti gli altri sforzi destinati alla ricostruzione”. Non necessariamente attraverso un processo gerarchico ma anche con, inaspettate in determinate condizioni, azioni bottom-up che possano costruire relazioni tra parti separate, chiamate ad essere connesse o riconnesse, e tra funzioni e usi che, senza ristabilire tali connessioni, non avrebbero possibilità di aprire un nuovo orizzonte nei territori colpiti dalla tragedia bellica.

 

Il senso di una ricerca

La ricerca, mai come nel caso di questo convegno, è strumento decisivo nell’immaginare, proporre e diffondere chiavi di lettura e interpretazione che restituiscono una dimensione rinnovata nel modo in cui intendiamo la strada e l’autostrada. In più interventi emerge una dimensione multipla e in continua evoluzione della strada stessa, così come l’oggetto “macchina” è letto come emblema, simbolo e mito della nostra modernità.

Nell’introduzione all’ultima sessione del convegno, si è occupata proprio di questi significati Dominique Rouillard (École Nationale Supérieure d’Architecture Paris-Malaquais; relazione The Future in the Silence of Engines and the Silence of Signs) ricostruendo il complesso immaginario che lega infrastrutture e veicoli: “I collaudati strumenti di analisi visiva e semiotica vengono rimessi in servizio, non più per analizzare ciò che vediamo “dalla” strada ma per osservare l’infrastruttura stessa, per immaginare il suo futuro o come potrebbe essere vissuto, di giorno e di notte”. Un futuro fatto (anche) di radicali trasformazioni, nella direzione di movimenti e flussi adattabili e automatici, capaci di trasformare il concetto di strada e macchina, come l’ha interpretato la nostra epoca.

Passato e futuro, storie e distopie sono affrontate da Richard Randell e Robert Braun (Department of Sociology, Masaryk University; relazione The Magic Motorways of Futurama). La loro ricerca prende spunto dalle immagini d’archivio dell’installazione “Futurama” promossa dalla General Motors. Siamo alla Fiera mondiale di New York del 1939,“un momento cruciale nella costruzione dell’immaginario che ancora oggi ci condiziona”. Citando il Futurismo, i due studiosi si soffermano proprio sulle implicazioni automobilistiche della modernità: “Le autostrade sono spazi in cui la violenza costitutiva dell’automobilità viene occlusa rendendo la violenza contingente. Sono spazi di eccezione in cui tutti coloro che entrano sono ridotti a ciò che il filosofo Giorgio Agamben definisce nuda vita”.

Ma il concetto moderno di strada è anche profondamente alimentato dalla figura dello shopping mall, altro emblema della cultura novecentesca. Timo Daum (Research group Digital Mobility and Social Differentiation, WZB Berlin Social Science Center; relazione Viktor Gruen’s Pastiche of European Medieval Towns and Its Influence on the American Way of Life) ha recuperato una figura importante dell’architettura come Viktor Gruen, padre dell’idea di centro commerciale: “Tre ingredienti essenziali dello stile di vita americano iniziarono la loro marcia trionfale quasi contemporaneamente: l’insediamento suburbano prevalentemente bianco, l’infrastruttura automobilistica che lo rendeva accessibile e le corrispondenti cattedrali del consumo: i centri commerciali”. Una storia, definita trionfale, che ha avuto e ha tuttora il rovescio della medaglia, intrecciata a doppio filo proprio con la macchina e la strada: ha portato infatti allo sprawl urbano così come alla segregazione; invece di connessione, processi di esclusione.

Di uno shopping center emblematico si è occupato Henry Rueda (Department of Architecture, Florida International University; relazione El Helicoide, a Gasoline Driven Building. From the Machine toward an Architecture). Siamo nella Caracas del centro commerciale El Helicoide, che “considerava l’automobile come un elemento di progettazione, mai come un mezzo per raggiungere l’edificio, ma invece un modo per utilizzarlo”. Sistemi di accesso, di permeabilità, di porosità automobilistica che hanno elevato la strada al rango di architettura con lunghe rampe interne: “Qui la strada diventa spazio, architettura. Viene utilizzata come facciata, sezione e pianta, è anche il sistema strutturale e l’involucro dell’edificio”. Si sente l’eco di Le Corbusier e del suo Vers une Architecture: la macchina costruisce il futuro. E, di conseguenza, anche la strada.

Autore