Federica Sanchez TUNED Lombardini22, tratto da Davide Ruzzon, "Tuning. Architecture With Humans" (edizioni Mimesis, 2022 - in uscita)

Uno spazio affidabile per abbandonare la torre di controllo

Uno spazio affidabile per abbandonare la torre di controllo

Il luogo del sonno dev’essere la proiezione dalla mente verso l’esterno. Se non c’è corrispondenza, arriva lo stress

 

Published 2 novembre 2022 – © riproduzione riservata

Dormire è l’atto conclusivo dell’opera teatrale nella quale il protagonista, il corpo, da dominatore dell’orizzonte si trasforma in inconsapevole e remissivo organismo sognante. Ogni gesto, ogni azione del nostro corpo, infatti, è una narrazione. Sono le tracce germinali delle mille e mille storie che l’uomo ha raccontato, dalle mura delle caverne al cinema, per rivivere la prima emozione apparsa alla coscienza, nel corso dell’evoluzione poi divenuta cifra significante, concetto e pensiero del nostro stesso esistere.

Dalla posizione eretta nella torre di controllo il corpo plana verso la terra. Dalla luce al chiarore, giù giù fino al buio totale. Gradualmente. L’emozione, ovvero la fisiologia in azione, il battito del cuore che rallenta, ad esempio, diventa un concetto, si condensa in parole, in pensiero cognitivo. Il sangue si coagula diventando un’idea. La progressiva deattivazione del sistema enterocettivo – battito, respiro, muscolatura liscia – e della muscolatura striata che sostiene tutto il nostro apparato scheletrico si trasformano nell’essenza fenomenologica dell’abbandonarsi, del perdere il controllo.

Poteva lo spazio non subire il fascino di questo racconto? No, evidentemente.

 

Lo spazio come nicchia protettiva

Abbassare il cielo durante la notte è come adagiare una coperta sul nostro corpo abbandonato. Restringere il campo spaziale, per non essere esposti nel momento di massima fragilità, è infatti un imperativo di tutti gli organismi viventi. La forma spaziale disegnata dal movimento del corpo si specchia così nella forma dello spazio che lo accoglie. Nel passaggio dalla caverna alla capanna si assiste a questo processo: la scala e la forma dell’involucro artificiale si definiscono come sistema speculare al cinematismo motorio. In questo modo all’oggetto artificiale, all’architettura, viene affidato il compito di suggeritore, di memoria delle emozioni primitive dell’essere umano. Ma c’è di più. In sintonia con le più recenti teorie delle neuroscienze cognitive, non esiste un confine netto tra la memoria della cifra fisiologica che accompagna il movimento, ovvero l’emozione di rilassarsi in questo caso, e la forma ideale che accoglie questa azione, ovvero il luogo dove si dorme.

Questo fatto ha un’implicazione cruciale nel plasmare l’ambito dove dormire bene. Per agguantare bene questo passaggio dobbiamo, però, considerare ancora un altro aspetto: ogni decisione produce un’attesa, in altre parole, grazie alla nostra memoria implicita, pre-riflessiva, non cognitiva, una decisione che si proietta sul futuro per orientare l’azione sfrutta la memoria delle azioni pregresse per ridurre il rischio e il consumo di energia, servendosi di modelli d’interazione semplici, o di habits. Nello sviluppo dell’azione, il nostro cervello ricerca la conferma delle indicazioni che arrivano dalla memoria.

Ebbene, tornando al punto, l’assenza di una netta separazione tra la forma dello spazio e l’emozione, entrambi parte di questi modelli d’interazione memorizzati, implica che quando decido di dormire con la giusta emozione – il rilassamento – cerco una forma spaziale e l’atmosfera più adeguata, più pertinente. L’esperienza del dormire richiede la compresenza di un sistema spaziale definito, non casuale. All’interno di questo spazio i suoi contenuti plastici, le proporzioni, la distanza dei confini dal corpo – scala e prossemica – geometrie, intensità, colore e direzione della luce, materiali, colori delle superfici, texture, ritmo visivo, acustica e odori, ebbene tutti questi elementi del progetto concorrono sinfonicamente, come personaggi dell’opera teatrale che evocavo all’inizio, a dare “corpo architettonico” al contenuto emotivo del gesto stesso di abbandonarsi.

 

Dove non arriva lo spazio… arriva l’arredo

Quando lo spazio architettonico non può garantire questa nicchia protettiva interviene l’arredo. I letti a baldacchino sono una stanza nella stanza. Nei grandi palazzi della nobiltà spesso le camere erano anche luoghi di ricevimento durante il giorno, sia per la presenza della servitù che per lo svolgersi d’incontri riservati. Il baldacchino, perciò, fungeva da vera camera da letto.

 

Un progetto per accompagnarci tra le braccia di Morfeo

Intrappolati nel frenetico vortice imposto dalle tecnologie digitali, oggi ancor di più l’esperienza del sonno è basilare nella vita delle persone. Quando prendiamo, infatti, la decisione di dormire, inneschiamo in modo implicito la ricerca di uno spazio adeguato a questo che si configura come un reale transfer architettonico, ovvero una proiezione che dalla mente si distende verso lo spazio esterno. Non riuscire a costruire una corrispondenza tra proiezione e percezione reale dello spazio richiede dei costosi processi di adattamento. Il costo è sia mentale che fisico, e si traduce in uno stress che può diventare cronico, se questo episodio non rimane una sparuta occasione, come può accadere se si passa una notte in un salotto, rannicchiati nel divano, in casa d’altri.

La ripercussione più negativa si manifesta sulla qualità del sonno, in particolare su quella fase nota come REM (Rapid Eyes Movement). Conosciamo tutti quella scena di Inside Out, il cartone della Pixar, in cui l’ansia che la piccola protagonista sta vivendo mette a rischio il lavoro che il suo cervello sta svolgendo durante il sonno. Nella sua fase centrale, appunto la fase REM, gli eventi della giornata vengono soppesati. Alcuni di questi finiscono stabilmente nella nostra memoria e vanno a costituire la nostra identità, gli altri vengono cancellati.

Nella nostra quotidianità gli eventi e le perturbazioni in grado di produrre ansia sono una costante esistenziale. Questo rende lo spazio del dormire davvero fondamentale, perché consente di recuperare quello spazio affidabile che ci permette di abbandonare la torre di controllo. Quando questo non avviene, le ansie della giornata vengono moltiplicate con esiti infelici sulla nostra salute. I disturbi del sonno sono molto seri, infatti. Il più noto è la sregolazione del ritmo circadiano, con uno sbilanciamento del rilascio della melatonina e della serotonina. Inoltre, esistono importanti implicazioni sulla regolazione emotiva, sulle abitudini alimentari, sul metabolismo e sul sistema immunitario. Nessuna di queste implicazioni è favorevole.

Esiste ormai una letteratura sterminata su questi aspetti, utile a farci comprendere come dormire sia davvero co-essenziale alla vita. Dormire almeno sei ore è un regalo che facciamo alla nostra intelligenza e alla nostra vitalità, infatti. Non solo, è un dono che facciamo anche alla nostra società. Uno studio realizzato da un team della scuola di scienze cognitive di Singapore, pubblicato nel 2016 sul “Journal of Sleep Research”, sottolineava come la manipolazione della memoria sia piuttosto facile. Comparando un gruppo di controllo, che dormiva regolarmente, con un gruppo invece sottoposto ad un’assenza di sonno programmata, i ricercatori scoprirono come a quest’ultimo fosse molto più facile far credere reali degli eventi non corrispondenti alla realtà. La ragione? La mancanza di un sonno sano ed equilibrato indebolisce le nostre capacità cognitive, alterando il lucido discrimine tra realtà e menzogna.

Architetti e designer devono essere consapevoli della rilevanza individuale e sociale di un progetto che ci accompagni tutti dolcemente nelle braccia di Morfeo. Detto questo, dormiamoci sopra, al risveglio tutto riapparirà con maggior nitidezza.

 

Autore

  • Davide Ruzzon

    Architetto, a Milano guida TA TUNING ARCH, società dedicata all’applicazione delle neuroscienze al progetto architettonico che vanta interventi nel settore dell’housing sociale, delle residenze per anziani, ospedali, aeroporti, logistica, scuole, uffici. Ha fondato e dirige NAAD Neuroscience Applied to Architectural Design, ad oggi nel mondo il primo Master internazionale nato sullo stesso tema, all’Università Iuav di Venezia. Ha co-fondato la nuova rivista «Intertwining», sul rapporto tra scienza, cultura umanistica e architettura, edita da Mimesis International. Ha pubblicato "L’architettura delle differenze" (2013) e "Tuned Architecture" (con Vittorio Gallese, 2016), oltre a saggi e articoli in varie riviste d’architettura. Sempre presso Mimesis è stato pubblicato "Tuning Architecture with Humans" (2023)

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