L'ingresso, Nemo Science Museum Renzo Piano, Amsterdam (© Sergio Bettini)

Dall’accessibilità all’inclusività, ripensiamo l’interazione tra utente e spazio

Dall’accessibilità all’inclusività, ripensiamo l’interazione tra utente e spazio

La seconda include la prima, superando la dicotomia tra «normale» e «diverso». Breve tour museale (a ostacoli)

 

Published 3 dicembre 2024 – © riproduzione riservata

Inclusività e accessibilità sono strettamente connesse in architettura: l’una racchiude l’altra, ampliandone il significato e le applicazioni. L’accessibilità è un requisito fondamentale nella progettazione e riguarda la rimozione di barriere fisiche, sensoriali e cognitive per permettere a persone con disabilità permanenti o temporanee di utilizzare e vivere gli spazi in modo autonomo, sicuro e dignitoso. L’inclusività, invece, è un concetto più ampio e meno definito, che ingloba l’accessibilità ma si spinge oltre; mira a creare ambienti che accolgano tutte le persone, indipendentemente dalle loro abilità, età, genere, cultura o condizione sociale. Promuove un senso di appartenenza e partecipazione all’architettura, difficile da normare. 

In Italia le prescrizioni tecniche per l’abbattimento delle barriere fisiche sono regolate dal DM 236 del 1989 e dal DPR 503 del 1996. Nel 1997 un gruppo di studiosi, architetti e designer della North Carolina State University guidati da Ronald Mace, ha elaborato i 7 principi dell’Universal Design, che comprendono: uso equo, flessibilità, semplicità intuitiva, informazione percettibile, tolleranza per gli errori, contenimento dello sforzo fisico, misure e spazi sufficienti per l’accesso e l’uso. Parallelamente il concetto di disabilità si è evoluto con l’introduzione della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) da parte dell’OMS nel 2001, recepita dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006. Questa nuova prospettiva vede la disabilità non come una caratteristica intrinseca della persona, ma come il risultato dell’interazione tra le condizioni di salute, le funzioni corporee, le attività e l’ambiente.

 

Accessibilità pratica, inclusività strategica

Se l’accessibilità risolve problemi pratici e immediati, l’inclusività adotta un approccio strategico e proattivo, valorizzando le differenze. Tuttavia, il termine «inclusivo» evidenzia ancora una distinzione tra chi include e chi viene incluso, mantenendo una distinzione tra «normale» e «diverso». La sfida odierna è superare questa dicotomia, integrando le diversità nel progetto architettonico e nella società. L’accessibilità è un elemento imprescindibile dell’inclusività, ma da sola non basta: un edificio tecnicamente accessibile potrebbe non essere realmente inclusivo, mancando di spazi che facilitino l’interazione sociale o che promuovano il senso di comunità. L’obiettivo è progettare ambienti che favoriscano una partecipazione equa e naturale, eliminando divisioni e consentendo a tutti di vivere la stessa esperienza architettonica e culturale. Perché l’architettura è un’esperienza sensoriale, diceva Steen Eiler Rasmussen (1898-1990): ciò che vediamo, udiamo e percepiamo nello spazio deve coinvolgerci pienamente per essere significativo.

Quali architetture possono insegnarci, anche attraverso i loro errori, a rendere i nostri edifici accessibili e inclusivi? Un’analisi interessante si può fare sui musei, che per loro natura dovrebbero essere inclusivi: luoghi progettati non solo per custodire ed esporre collezioni, ma per coinvolgere il pubblico nell’esperienza spaziale. Tra questi, se consideriamo quelli caratterizzati da rampe o da configurazioni spaziali basate su piani inclinati, emerge con sorpresa come tali scelte formali e spaziali non soddisfino pienamente le esigenze di inclusività. Al contrario, spesso precludano l’esperienza architettonica a persone con disabilità, risultando di fatto discriminanti. 

 

Alcuni esempi museali con limiti…

Il Guggenheim di Frank Lloyd Wright a New York è emblematico. La rampa elicoidale, pensata per essere percorsa dall’alto verso il basso, risulta impraticabile per chi utilizza una sedia a rotelle: occorre frenare la ruota interna e accelerare quella esterna per compensare l’inclinazione, rendendo l’esperienza ardua e faticosa. Inoltre, osservare frontalmente le opere sulle pareti inclinate richiede una rotazione di 90°, con il rischio di ribaltarsi. L’esperienza dello spazio wrightiano, per quanto straordinaria, non è fruibile da tutti. Si potrebbe argomentare che la destabilizzazione della verticalità faccia parte integrante del linguaggio architettonico dell’edificio, pensato per amplificare l’intensità dell’interazione con lo spazio. È vero anche che, all’epoca della sua realizzazione, i criteri di accessibilità non erano ancora considerati una priorità progettuale. Tuttavia, questa qualità spaziale rischia oggi di trasformarsi in una barriera, negando a molti la possibilità di vivere pienamente l’esperienza per cui l’opera è stata concepita.

Anche nei musei contemporanei si possono riscontrare limiti che precludono l’esperienza architettonica. Il MAXXI di Zaha Hadid Architects a Roma accoglie i visitatori in un imponente atrio, dominato da un intreccio di scale che evocano in chiave moderna la complessità labirintica degli spazi piranesiani. Come nel Guggenheim, qui non sono solo le opere esposte ad attrarre il pubblico, ma la possibilità di vivere uno spazio che sfida le convenzioni e amplifica la percezione architettonica. Tuttavia, questa esperienza viene negata in partenza ai disabili motori. Per raggiungere le sale espositive ai piani superiori ci si affida all’ascensore. L’ultima grande sala sospesa si sviluppa lungo un interminabile piano inclinato, la cui percorrenza su una sedia a rotelle diventa estenuante, trasformando ciò che dovrebbe essere un momento di scoperta in una prova di resistenza fisica.

Dal tema degli spazi passiamo a quello delle forme e spostiamoci ad Amsterdam. Al Nemo Science Museum di Renzo Piano Building Workshop, la visita si conclude idealmente sul tetto, dove i turisti si riuniscono per godere della struttura e del panorama. Tuttavia, per una persona con disabilità motoria, questa possibilità è negata: il tetto è realizzato a gradoni, simile alla cavea di un teatro, e quindi completamente inaccessibile.

Al Mast dei Labics a Bologna, la ripida rampa d’ingresso non solo è impraticabile per i disabili motori, ma rende inaccessibile anche la scultura di Anish Kapoor che si trova lungo il percorso.

 

Ripensare l’interazione tra utente e spazio

Pare evidente che occorre una riflessione profonda su come l’interazione tra utente e spazio debba essere ripensata, mettendo l’accento sull’inclusività non solo come un obiettivo tecnico, ma esperienziale ed estetico. Questo perché la disabilità, per riprendere la Convenzione delle Nazioni Unite, è il risultato dell’interazione tra le caratteristiche di una persona e le barriere presenti nell’ambiente.

Immagine copertina: RPBW, Nemo Science Museum ad Amsterdam; ingresso con la scalinata (© Sergio Bettini)

Autore

  • Architetto e docente di Storia dell'Architettura e di Restauro presso l'Accademia di Architettura di Mendrisio, Università della Svizzera Italiana. Affianca la ricerca storico-scientifica alla pratica professionale, integrando la progettazione con un aggiornamento continuo su tecnologie e materiali di ultima generazione. Da oltre vent’anni Studio Bettini Architetti Associati si occupa di restauro monumentale, riuso del costruito, allestimento degli interni. Opera su commissioni pubbliche e private nei contesti storici più delicati. Propone un approccio innovativo al design inclusivo per sviluppare soluzioni progettuali che integrino accessibilità e inclusività, rispettando e valorizzando il patrimonio esistente.

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