Irlanda: “Losing Myself”

Irlanda: “Losing Myself”

 

VENEZIA. Una grande decorazione cangiante e mutevole a pavimento. Comprendere il padiglione irlandese all’Arsenale non è né facile né immediato. Ha bisogno di tempo e di un certo sforzo, in linea con il tema complesso e difficile che affronta. Perché oltre al – sicuramente riuscito – effetto scenico (un quadro luminoso in continua ridefinizione, all’interno di una navata buia) c’è un intenso lavoro di ricerca sul morbo di Alzheimer e su come influisce sulle modalità percettive dello spazio.

A curare il lavoro sono Níall McLaughlin e Yeoryia Manolopoulou. Il loro progetto per l’Alzheimer Respite Centre di Dublino è ripercorso e fortemente ridiscusso attraverso gli occhi di 16 pazienti (come 16 sono i proiettori di immagini, sospesi a mezz’aria): il “loro” ambiente non è né rigido né stabile, si emancipa dalle costruzioni planimetriche “normali”, non ricerca né orientamento né riferimenti. E allora le esperienze e le memorie di ogni giorno producono un ambiente frammentato, diversissimo dalle piante immaginate dagli architetti. La rigida griglia quadrata dell’installazione si rompe e decompone in visioni oniriche e metafisiche (dove prevalgono forme vegetali, ondulate, dinamiche, in movimento) e scopre spazi e tempi inconsueti, inesplorati, inattesi. Il risultato, anche disorientante, è la messa in discussione dell’idea di edificio come entità singola, come oggetto unico e chiaramente rappresentabile. Nascono così intere serie di nuove possibili architetture. E lungo questo percorso sono proprio occhi diversi che aiutano a spostare il fronte un po’ più in là.

Immagine principale: From Above di Lez Barker

 

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Commissario: Niall MacLaughlin Curatore: Yeoryia Manolopoulou Espositore: Níall McLaughlin (Níall McLaughlin Architects) Sede: Arsenale

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale