Gran Bretagna (©Elena Franco)

Gran Bretagna

All’interno di una Biennale affollatissima, per i britannici l’unico freespace possibile è il tetto del proprio padiglione

 

Non fatevi ingannare dalle impalcature che lo avvolgono, non  è in ristrutturazione, ma sorregge e conduce alla grande terrazza costruita sulla copertura, mentre l’interno del padiglione è accessibile, ma vuoto.

Scelti attraverso una open call dal British Council, organizzatore del padiglione, i curatori di questa edizione, lo studio di architettura londinese Caruso St John Architects in collaborazione con l’artista Marcus Taylor, hanno infatti deciso di distaccarsi dalla consuetudine.

Il team curatoriale, che per la prima volta vede la commissione congiunta tra arte e architettura, precisa, se ce ne fosse bisogno, che non è una mostra, ma un evento culturale, un luogo di incontro e un punto di osservazione che si affaccia sulla Laguna. Un nuovo spazio pubblico, in cui il colmo del tetto del padiglione sporge dal pavimento della terrazza, suggerendo due temi: quello un’isola e quello di un mondo sommerso. Island è come un luogo di rifugio ed esilio, ed anche per riflettere sull’abbandono, l’isolamento, la Brexit, il colonialismo,  la ricostruzione e il cambiamento climatico.

Il freespace del British Pavilion è un luogo per il dibattito e per lo scambio di idee, propone un approccio decisamente diverso e provocatorio nella Biennale di quest’anno.

“L’Isola” del titolo, non è una ricerca o un progetto ma semplicemente un luogo separato fisicamente dal resto dell’esposizione da cui il pubblico ha una visione (non a 360 gradi sulla laguna di Venezia e sulla Biennale come declamano) ma solo una parziale visione su ciò che ci sta intorno. Da un lato simboleggia la natura insulare di Venezia, dall’altro è un chiaro riferimento (ed una critica) alla Brexit e all’isolamento che essa in qualche modo rappresenta per la Gran Bretagna. L’isola può quindi rappresentare sia la salvezza (in questo caso, oltre che alla storia di Venezia il riferimento è anche alla Tempesta di Shakespeare) che una prigione.

Autore

  • Arianna Panarella

    Nata a Garbagnate Milanese (1980), presso il Politecnico di Milano si laurea in Architettura nel 2005 e nel 2012 consegue un master. Dal 2006 collabora alla didattica presso il Politecnico di Milano (Facoltà di Architettura) e presso la Facoltà di Ingegneria di Trento (Dipartimento di Edile e Architettura). Dal 2005 al 2012 svolge attività professionale presso alcuni studi di architettura di Milano. Dal 2013 lavora come libero professionista (aap+studio) e si occupa di progettazione di interni, allestimenti di mostre e grafica. Dal 2005 collabora con la Fondazione Pistoletto e dal 2013 con il direttivo di In/Arch Lombardia. Ha partecipato a convegni, concorsi, mostre e scrive articoli per riviste e testi

    Visualizza tutti gli articoli