Spagna (©Elena Franco)

Spagna

“Becoming” illustra una necessaria e radicale fase di trasformazione per il paese con un padiglione che si svuota per trasferirsi su pareti che diventano colorati murales

 

L’ampio padiglione spagnolo, ai Giardini, è una concreta presa di contatto con il cambio di stilemi e chiavi di lettura dovuto alle crisi degli ultimi anni. Ricordate la Spagna frontiera dell’architettura contemporanea europea? Ricordate – 2 anni fa – il bel padiglione che rappresentava i segni tangibili della crisi in termini di costruzioni mai finite? Tutto molto lontano. Alla 16. Biennale la curatrice Atxu Amann fa piazza pulita (il freespace) di tutto o quasi.

Il suo allestimento – il cui titolo è indicativo, Becoming, ad illustrare una necessaria e radicale fase di trasformazione – parte dal recupero della struttura originaria del padiglione novecentesco costruito da Joaquin Vaquefo Palacios nel 1951. Che resta completamente vuoto (ad eccezione di alcune sedie): tutto è delegato a pannelli sulle pareti, da pavimento all’alto soffitto, che si propongono come coloratissimi murales di immagini, volutamente incoerenti. Potremmo chiamarla partecipazione dal basso: “La re-invenzione dell’architettura – spiega la curatrice – nasce non dal costruito ma dalle possibili azioni di progetto. Non proponiamo oggetti ma informazioni”. L’unico tentativo di catalogazione è affidato ad una serie di parole-chiave, disegnate anche (in giallo) sul pavimento. Per il resto il padiglione è un’accumulazione di idee, raccolte in grandissima quantità (alcune in mostra, altre caricate su un portale web), frutto di una call partecipata soprattutto da scuole e docenti: “Il nostro freespace vuole essere un frammento di cambiamento dicendoci che un altro mondo è possibile”.

Semi di futuro, insomma. Come quelli che il padiglione offre ai visitatori da piantare nel piccolo giardinetto alle sue spalle: germoglieranno durante l’estate e, a Biennale conclusa, una sorta di bosco-selva concluderà il percorso. Provando a capire dove possono portare le idee di progetto senza una regìa e un coordinamento.

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

    Visualizza tutti gli articoli