Stessa scuola, stesso banco?
Tra immobilità e cortocircuiti amministrativi, per un vero passo avanti sono necessari luoghi di pensiero comune tra architetti e urbanisti, pedagogisti e insegnanti, enti locali e ministero
Published 14 settembre 2022 – © riproduzione riservata
Ricordo che il primo giorno di scuola io e alcuni miei compagni ci presentavamo prestissimo davanti al cancello per essere i primi ad accaparrarci il posto, ovvero il banco sul quale avremmo trascorso la maggior parte delle ore della nostra giornata, per i nove mesi a venire. Uno spazio di poco più di 1 metro quadro, una sorta di trincea nella quale ci si rifugiava, un sottobosco, più o meno disordinato, nel quale si viveva il tempo a scuola furtivamente tra chiacchiere, paure e risate.
Il banco, la flessibilità distributiva e la didattica innovativa
Le classi, con i banchi e gli arredi scolastici, sono oggi le stesse dei miei ricordi e sono le stesse da quando la scuola è diventata pubblica, nel 1860. A partire da queste considerazioni, qualche anno fa, sono nati progetti che hanno focalizzato l’attenzione, non solo sulla sicurezza degli edifici scolastici ma, anche, sulla necessità d’innovare gli spazi e gli arredi delle scuole. Ma cosa s’intende oggi per scuola innovativa?
In realtà basterebbe leggere “Casabella” del 1979, diretta da Tomás Maldonado, per rendersi conto che tutto ciò di cui discutiamo in merito a spazi e didattica “innovativa” è già stato detto negli anni settanta. Gli architetti accolsero la forte spinta innovativa nel campo dell’educazione e nacquero scuole con spazi modulabili, ampie aree collettive, anfiteatri, palestre e cortili scolastici, sovradimensionati, per poter essere fruiti anche dalla cittadinanza. Questo tipo di scuola fallì, ma nel merito viene riproposta nelle “Linee guida per l’edilizia scolastica” del Ministero dell’Istruzione nel 2013 e nel documento voluto dal ministro Patrizio Bianchi “Progettare, Costruire e Abitare la scuola” che ha fornito la cornice culturale intorno alla quale si è costruito il bando di concorso Scuola Futura, lanciato dal Ministero l’1 luglio 2022.
Una domanda, però, rimane sottesa: una scuola “innovativa” deve prevedere spazi differenti per diverse tipologie didattiche o deve poter modificare l’assetto dell’aula secondo le esigenze degli insegnanti?
Forse entrambe le cose, ma qualunque sia l’approccio occorre considerare un elemento sul quale c’è ancora poco dibattito e sperimentazione: il banco. La ribalta mediatica che si è conquistato nel 2020, con l’optional delle rotelle, poteva essere l’occasione per riflettere su questo “oggetto”, riconsiderarlo e declinarlo rispetto alle esigenze educative dei segmenti scolastici e rispetto all’uso che se ne fa nelle diverse discipline.
Oggi, alla luce di un quadro orario contingentato (scuole secondarie), poco flessibile e talvolta con unità didattiche da cinquanta minuti, l’idea di riconfigurare i banchi in classe per fare attività laboratoriali, a piccoli gruppi o qualunque altra cosa preveda lo spostamento degli arredi è quasi impossibile. Anche per la presenza – nella maggior parte dei casi – di zaini pesanti e voluminosi.
Seppur in sordina e non integrato al dibattito che attraversa il mondo scuola, la riflessione sugli spazi scolastici inizia a contaminare i corsi di architettura e urbanistica aprendo linee di ricerca sui manufatti edilizi e sulla relazione tra scuola e città. Poco invece si sta facendo in campo accademico riguardo al disegno degli arredi scolastici. Il banco, nel corso degli anni, non si è modificato molto: si è passati da quello classico, azzurro con la striscia nera e il calamaio, a quello a ribalta ormai quasi scomparso, a banchi molto scarni costituiti solo da un piano in laminato, a quelli di “nuova generazione” che per forme e colori sembrano mutuati dal design per ufficio.
Oggi a catalogo si trovano banchi di circa 50×70 cm – spesso senza il sottobanco e il poggiapiedi – che in alcuni casi assumono forme trapezoidali, curve, sinusoidali, per essere assimilati ad arredi innovativi.
Le aziende producono arredi che possano essere economicamente appetibili agli enti locali, ma la domanda di fondo, alla luce di questa produzione mediocre è: a quali bisogni didattici deve rispondere il banco?
La sottovalutata questione amministrativa
La fornitura degli arredi era di esclusiva competenza degli enti locali, come recitato nell’articolo 85, comma 3 del Dlgs. n. 297/1994 e ribadito nel Dlgs. n. 267 del 2000 del TUEL (Testo Unico Enti Locali), fino a quando non è nato il corto circuito innescato dai PON scuola per cui le istituzioni scolastiche hanno potuto comprare direttamente gli arredi senza passare dai comuni. Il Decreto interministeriale 129/2018 definisce quindi che il materiale acquistato dalle scuole diventa di proprietà dell’autonomia scolastica che dovrà manutenerlo e, nel caso, smaltirlo a proprie spese.
Quando nel 2020 la ministra Lucia Azzolina mobilitò il personale scolastico per capire come tenere la distanza di 1 metro (prima statico e poi dinamico!) tra le “rime buccali”, la soluzione che le sembrò più efficace fu quella di lanciare il bando per 3 milioni di banchi a rotelle!) alcune scuole credettero fosse davvero la risposta giusta altre, semplicemente, non vollero rinunciare a un’opportunità di avere arredi in più, senza sapere davvero cosa farne. Ciò che avvenne all’indomani di questo annuncio rasentò la follia: scuole che dismisero banchi vecchi, banchi nuovi, banchi perché biposto.
Nelle indicazioni date dal Ministero si diceva di concertare le azioni con gli enti locali, ma molte scuole non lo fecero e i comuni si trovarono a redigere piani straordinari di smaltimento (anche di materiale di proprietà delle scuole) e riallocare i banchi già ordinati per contenere una situazione diventata schizofrenica.
La questione banchi nei suoi risvolti più bizzarri ha messo in luce le contraddizioni che caratterizzano la scuola, un’istituzione soffocata da competenze amministrative incrociate, e talvolta poca chiarezza d’idee. Negli anni settanta gli architetti fecero l’errore di tradurre architettonicamente lo slancio innovativo di una piccola parte del mondo scolastico pensando che bastasse per innescare in tutti la volontà di attuare modelli didattici differenti. Oggi sappiamo che non è così.
Perché ci sia una vera rivoluzione è necessario trovare dei luoghi di pensiero comune tra architetti e urbanisti, pedagogisti e insegnanti, enti locali e ministero, perché solo sedendo intorno a uno stesso tavolo sarà possibile sciogliere le contraddizioni e trovare soluzioni che possano davvero cambiare la scuola.
Architetta e PhD in storia dell’Architettura e dell’Urbanistica si laurea a Torino dopo periodi di studio a Oxford e Mosca. Libera professionista, ricercatrice, insegnante, project manager di eventi culturali, è stata assistant director del Centro di Architettura contemporanea di Mosca. Collabora con “Il Giornale dell’Architettura” dal 2003 e pubblica articoli e saggi su riviste e libri italiani e stranieri; nel 2015 è coloumnist di Exponet. Co-fondatrice dello studio Coex, ha svolto attività didattica al Politecnico di Torino e nel 2012 inizia a insegnare nella scuola secondaria di I grado. Dal 2008 al 2014 è rappresentante dei genitori negli organi collegiali dei servizi educativi della città e nello stesso anno è presidente del Coordinamento genitori di Torino. Dal 2016 al gennaio 2019 è assessora all’Istruzione e all’Edilizia scolastica della città di Torino.