Upali Nanda: riduciamo il divario tra intenzioni progettuali e percezione dell’utenza
Occorre tenere insieme ricerca e progetto, per verificare gli esiti di quest’ultimo
Published 03 maggio 2024 – © riproduzione riservata
Upali Nanda, PhD in Architettura, è vice presidente esecutivo e Global Sector Director of Innovation di HKS Architects a Detroit. Ha vasta esperienza nella gestione di ricerche in ambito professionale, focalizzate sull’impatto del progetto sulla salute e la percezione umana. Professoressa associata presso la Taubman School of Architecture and Urban Planning dell’Università del Michigan, nel 2015 è stata indicata dalla rivista “Healthcare Design” tra le 10 persone più influenti nel campo dell’architettura sanitaria e, nel 2018, è stata premiata come Innovator nei Women in Architecture Awards di «Architectural Record».
Considerando il suo lungo percorso nel campo dell’architettura e della ricerca scientifica, quando ha iniziato a pensare a quest’ultima come uno strumento fondamentale per la progettazione?
Durante la laurea in architettura mi sono interessata molto al tema della percezione umana. Anche se progettavamo per le persone, non si studiava nulla a proposito di essa e del comportamento umano. Gran parte del mio lavoro iniziale ha riguardato la rappresentazione, perché il modo in cui rappresentiamo gli edifici non corrisponde a quello in cui vengono percepiti. Questo mi ha introdotto al lavoro di Juhani Pallasmaa e al suo approccio fenomenologico. Tuttavia, il mio percorso non è partito dalla ricerca, ma dalla progettazione. Ho sviluppato il mio dottorato sulla percezione e la progettazione, cercando di comprendere il dialogo che s’instaura tra i diversi sensi quando percepiamo qualcosa. Quando disegni un oggetto devi pensare a come sarà percepito e alle affordance che determinano le reazioni delle persone. Le neuroscienze erano molto affascinanti all’epoca perché stavano svelando i segreti della percezione e del comportamento, e il campo emergente della neuro-architettura stava iniziando a guardare al ruolo che la progettazione ha in essa. Si cominciava a discutere a proposito di come articolare il valore di un progetto e misurare ciò che è significativo in termini di risultati. Da più di un decennio, ormai, il fondamento del mio lavoro è il mettere in relazione progetto e risultati. Dobbiamo essere in grado di mostrarne la consistenza non solo con la bella poesia dell’anima dell’artista, ma anche con la precisione analitica della mente di uno scienziato.
Concentrandoci sugli ambienti per l’apprendimento, come definirebbe questa tipologia di spazi e quali fattori pensa dovrebbero essere considerati nel progettarli?
Oggi le caratteristiche degli spazi per l’apprendimento sono diventate più complesse rispetto alla questione del semplice risultato accademico. Si parla della salute e della sicurezza mentale di studenti e insegnanti, e delle diverse modalità di apprendimento e insegnamento che a loro meglio si adattano. Si tratta di essere inclusivi nella diversità, specialmente nella neurodiversità. Lo spazio deve promuovere varie relazioni di apprendimento piuttosto che una tipologia specifica d’interazione. A livello progettuale dobbiamo considerare l’importanza della luce naturale, dell’acustica, della qualità dell’aria, del comfort termico e dei layout funzionali e flessibili, progettando anche per la creatività, il gioco e l’apprendimento, che sia strutturato o meno. Tra tutte le tipologie, credo che questa sia la più vicina ad un cambiamento sostanziale, perché i nativi digitali imparano in modo molto diverso. Il paradigma dell’apprendimento è cambiato e, di conseguenza, la convergenza di fisico e digitale è diventata cruciale. Ma la domanda fondamentale rimane la stessa: “il vostro ambiente ha contribuito a promuovere l’apprendimento”?
Come si affronta il progetto di un intervento complesso come quello alla UC di San Diego, rispetto a uno più piccolo come il Sensory Well-being Hub per la Lane Tech College Prep High School?
In un progetto grande con un team numeroso come quello della UC San Diego, la ricerca assume più energie rispetto al compito d’informare gli utenti e verificare i risultati. La nostra ricerca Point-of-Decision Design (PODD) ha fornito le basi per molte strategie progettuali che hanno reso la “scelta sana” anche quella “giusta” sia per gli allievi che per la facoltà, comprendendo, ad esempio, il posizionamento strategico delle scale principali, l’accessibilità dei punti di vendita di cibi sani, la presenza di ampi spazi per l’interazione sociale e di finestre con vista verso la natura per promuovere l’attività fisica, e la maggiore visibilità dei percorsi ciclabili e pedonali rispetto ai parcheggi per le auto per promuovere la mobilità lenta. I risultati di uno studio trasversale hanno mostrato un aumento del livello di soddisfazione per i servizi da parte degli studenti e una riduzione del tasso di depressione (Live Learn Lab — CADRE cadreresearch.org)
In un progetto più piccolo come quello del Sensory Well-being Hub, il team di ricerca e quello di progetto hanno lavorato come un’unica squadra. Abbiamo seguito insieme la ricerca, la prototipazione, i test, l’implementazione e la valutazione finale. L’hub è stato prima prototipato in laboratorio e poi costruito nella scuola. Le informazioni provenienti dal Sensory Well-being Hub per gli studenti con disturbi dello spettro autistico hanno dato inizio al nostro viaggio nella progettazione per la neurodiversità. Qui il focus del progetto non erano la mobilità o le scelte alimentari, ma una gamma di affordance sensoriali per offrire agli studenti, sia ipo che iper-sensibili, la possibilità d’interagire con l’ambiente e regolare le proprie emozioni (The Sensory Well-Being Hub at Chicago’s Lane Tech College Prep High School | HKS Architects)
È quasi come essere degli artisti: possiamo avere una tavolozza di colori, ma l’immagine finale sarà sempre diversa. Ad esempio, molti sono gli studi sui benefici della luce del giorno, ma se soffro di emicrania o fotosensibità, la presenza continua della luce naturale non aiuta. L’unico modo è sfidare costantemente l’evidenza, pensando ad essa criticamente e applicandola sempre al contesto. Ci sono poi infiniti scenari d’uso per gli edifici: non posso prevedere chi vi entrerà tra 10 anni, ma posso definire una serie di affordance per offrire una varietà di scelte, sia per soggetti neurotipici che neurodivergenti. Dobbiamo capire che le persone non sono formule, ma variabili. Esse interagiranno con il mondo che progettiamo attraverso meccanismi percettivi propri. Scelta esperienziale, scelta sensoriale e flessibilità sensoriale diventano importanti tanto quanto la flessibilità funzionale. Spesso il divario tra l’intento del progettista e la percezione dell’utente è molto grande.
Secondo la sua opinione che cos’è importante misurare in un edificio e indagare con le Valutazioni di post-occupazione?
In primis, io contesto il termine Valutazione di post-occupazione. Il mio collega Casey Lindberg dice: “Non c’è nulla di post nell’occupazione”. L’occupazione è il momento in cui inizia la vita di un edificio e dovremmo fare valutazioni di occupazione di continuo. Le valutazioni di occupazione dovrebbero essere fatte in ogni fase di progetto perchè riguardano l’esperienza vissuta, la quale è una storia in evoluzione. Noi misuriamo diverse esperienze in vari momenti: pre-progetto, progetto, prototipi e test. In fase di progetto si simula un’esperienza, mentre dopo l’occupazione si torna e si verifica se l’ipotesi era vera. È possibile collegare il progetto ai risultati solo se l’intento progettuale è preciso, ben articolato e documentato: il progetto è un’ipotesi e l’esperienza vissuta è il risultato. Il punto del misurare non è dimostrare che avevamo ragione, ma trovare opportunità per imparare, migliorare e cambiare l’ambiente costruito, perché ciò che progettiamo è come un palcoscenico su cui la vita si svolge in un continuum. Si tratta d’imparare, adattarsi e correggere strada facendo, in modo che l’edificio possa essere utilizzato al massimo del suo potenziale per le persone.
Architetta professionista attiva con un proprio studio a Milano, si è laureata al Politecnico nel 2010 e ha ottenuto nel 2022 il master “Neuroscience Applied to Architectural Design – NAAD” presso l’Università Iuav di Venezia. Tra il 2005 e il 2009 ha frequentato per un anno la UIC di Barcellona e ha lavorato nello studio dell’architetto catalano Carlos Ferrater, in seguito suo correlatore di tesi. Dal 2011 al 2017 è stata assistente presso il Politecnico di Milano affiancando il professor Angelo Lorenzi nell’attività. Da quando ha iniziato il suo percorso professionale ha sviluppato un profondo interesse per il rapporto tra la persona e l’ambiente costruito, frequentando diversi corsi per approfondire le sue conoscenze in alcune discipline olistiche tradizionali, Feng Shui in particolare.