Barbara Wolf e le atmosfere dell’apprendimento

Barbara Wolf e le atmosfere dell’apprendimento

La nuova fenomenologia applicata agli spazi scolastici nel volume della pedagoga tedesca

 

Published 04 giugno 2024 – © riproduzione riservata

Abitare un ambiente scolastico è un’esperienza che abbiamo provato tutti. Abitarne uno sicuro, salutare e adatto all’apprendimento, invece, è un privilegio che ancora in pochi possono permettersi. Come riporta la FederCepi Costruzioni – Federazione Nazionale delle Costruzioni -, infatti, la maggior parte dei 40.293 edifici scolastici italiani è vecchia, fatiscente e insicura, e le risorse economiche stanziate per la messa in sicurezza degli edifici, e per l’edilizia scolastica in generale, risultano troppo esigue per poter rispondere ai requisiti ambientali richiesti. 

Questo quadro allarmante mette in luce le reticenze che spesso si hanno nel considerare lo spazio quale valido supporto alla didattica, o, per dirla con il pedagogista italiano Loris Malaguzzi (1920-1994), come vero e proprio “terzo educatore” in grado di accordarsi con le competenze dei docenti e con i programmi didattici per trasformare l’apprendimento in un’esperienza relazionale di apertura, curiosità ed emancipazione intellettuale ed emotiva. 

Negli ultimi decenni, grazie anche allo sviluppo tecnologico, la pedagogia ha intrapreso percorsi interdisciplinari con ambiti apparentemente distanti quali architettura, neuroscienze, psicologia ambientale e fenomenologia, spingendo la ricerca verso territori inesplorati. 

Nel libro di Barbara Wolf, Atmospheres of Learning. How They Affect the Development of Our Children (Mimesis International, 2019), confluiscono alcune di queste ricerche, in particolar modo quelle che indagano l‘impatto profondo che hanno lo spazio e le atmosfere sull’impegno, la motivazione e sui risultati complessivi dell’apprendimento degli studenti. 

Dopo una breve introduzione dedicata al concetto di atmosfera e alle sue implicazioni nel contesto, l’autrice passa in rassegna una serie di atmosfere dell’apprendimento e descrive in che modo queste agiscano sul corpo-proprio di docenti e discenti con l’obiettivo di fornire a pedagoghi e architetti alcuni spunti utili alla progettazione di ambienti di apprendimento accoglienti, stimolanti e inclusivi.

Il termine “atmosfera”, la cui etimologia rimanda alla sfera gassosa che protegge tutti gli esseri viventi, è definito in ambito fenomenologico come quel fenomeno spaziale che ci tocca emotivamente e che a volte ci travolge fino a influenzare il nostro stato d’animo. Ma le atmosfere sono qualità sensoriali e affettive diffuse nello spazio e percepite come vibrazioni incarnate piacevoli o spiacevoli che non solo afferrano e spiazzano il singolo individuo ma, in contesti di condivisione sociale come gli ambienti scolastici, coinvolgono anche gruppi di persone. 

Non è un caso che la pedagogista tedesca parta dall’assunto che l’apprendimento sia fortemente condizionato dalle atmosfere che si creano negli spazi costruiti e che le figure del pedagogo e dell’architetto svolgano un ruolo determinante nella loro manipolazione perché, oltre a dover tenere sotto controllo i fattori misurabili – come le variabili di struttura sociale -, hanno a che fare anche con quelli percepiti ed esperiti attraverso il corpo vissuto. 

Progettare uno spazio educativo, infatti, è un compito arduo che prevede una stretta collaborazione tra figure professionali diverse, le quali dovrebbero sempre tenere a mente due aspetti cruciali dell’esperienza atmosferica in situazioni di condivisione collettiva: il primo riguarda le qualità spaziali che caratterizzano gli stati d’animo all’interno delle aule: i materiali, le proporzioni, il colore, la luce, l’altezza, lo spazio libero etc.; il secondo, gli aspetti personali che si sviluppano tra singoli individui o gruppi – per esempio, la relazione tra uno studente e il suo insegnante o le interazioni in un peer group – e si riferisce a qualità intime come speranza, pazienza, perfezionismo, humour e avversioni varie. 

Il pedagogo, secondo Wolf, dovrebbe possedere tutti gli strumenti che gli permettano di conoscere le relazioni che s’instaurano tra l’oggetto dell’apprendimento e le qualità di attaccamento emotivo percepite – e conseguentemente le atmosfere generate da queste relazioni – per poter pianificare al meglio le situazioni di apprendimento più consone. Mentre l’architetto, dal canto suo, dovrebbe essere in grado di plasmare le qualità dell’ambiente costruito per evocare e ospitare quelle atmosfere che producono un certo senso di appartenenza, che facilitano gli scambi relazionali, favoriscono la concentrazione, la volontà e il processo d’apprendimento. 

Lo spazio irradia uno stato d’animo particolare che ha un forte ascendente sui suoi frequentatori, soprattutto nel processo dall’abituale diade genitore-bambino alla diade educatore-bambino, spesso intriso di sentimenti intensi quali esitazione, paura, curiosità, incertezza o addirittura panico.

Nei più piccoli, infatti, che non sono ancora in grado di prendere le distanze dai sentimenti, le atmosfere generate negli ambienti della scuola dovrebbero essere positive e accompagnare il passaggio dalla vita protetta della stretta cerchia familiare a quella scolastica in modo fluido e morbido, permettendo al bambino di sentirsi sicuro e a proprio agio. 

Il libro, più che un manuale, è un invito a condurre ulteriori ricerche sulle atmosfere spaziali e sociali, sulla base di quelle già effettuate, per esaminare gli effetti che queste hanno sullo sviluppo personale dei bambini e sulle loro condizioni di apprendimento.

 

 

Barbara Wolf è stata docente di Educazione dell’infanzia presso la SRH University of Applied Sciences Heidelberg dal 2013 al 2020. Oggi è docente di Social Work presso la Internationale Berufsakademie (IBA) di Colonia e preside del Corso di studi in Social Work. È stata direttrice della scuola professionale per educatori di Coblenza tra il 2012 e il 2013, e assistente alla ricerca e dottorata all’Università di Coblenza (2008-2012). Ha molti anni di esperienza professionale nel lavoro sociale e nell’educazione della prima infanzia.

 

 

Autore

  • Antonio Sorrentino

    Architetto, dottorando presso il Dottorato in Architettura. Teorie e Progetto dell’Università di Roma “Sapienza”. Assistente alla didattica presso le Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino e dello IUAV di Venezia. Laureato in Tecniche dell’Architettura e della Costruzione e in Progettazione Architettonica e Urbana presso la Facoltà Ludovico Quaroni di “Sapienza” con una tesi sugli ospedali psichiatrici e giudiziari. Nel 2018 ha conseguito il Master internazionale Neuroscience Applied to Architectural Design - NAAD presso lo “IUAV” ed esposto la tesi alla XVI edizione della Biennale di Architettura. Ha curato, insieme a Fabrizio Marzilli, il libro “Cosa faremo dopo il Covid-19. Sei dottorandi di architettura in cerca di progetti” e pubblicato vari articoli su temi di neuro-architettura. I suoi interessi sono incentrati principalmente sull’analisi delle relazioni che intercorrono tra il sistema corporeo-cerebrale e gli spazi urbani.

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