Di pietra, naturalmente
Un elogio della diversità della pietra naturale e gli interrogativi sulla mancanza di limiti nel suo uso a partire dai progetti presentati a The Italian Stone Theatre
In un panorama globale sempre più omogeneizzato tra stili del momento e diktat del mercato, bene fa l’annuale rassegna The Italian Stone Theatre – il padiglione dedicato alla ricerca e alla sperimentazione ospitato da Marmomac – a sottolineare la diversità fisica, meccanica ed estetica quale caratteristica unica e inimitabile della pietra naturale. Ed è all’insegna della “Naturality” che si presenta l’allestimento del padiglione, pavonato da eleganti nastri verde speranza, tra grandi ciuffi di graminacee, bambuseti e quinte vegetali a simboleggiare il legame tra mondo vegetale e mondo minerale della pietra, che ossigenano l’occhio dei visitatori con tanto di cinguettio sonoro di accoglienza. Nel fitto bosco delle varietà litologiche, il sentiero della ricerca progettuale è tracciato come ogni anno da Vincenzo Pavan e Raffaello Galiotto, che nelle mostre da loro curate pongono a confronto i progettisti da una parte e le aziende italiane della pietra, dei macchinari e della tecnologia dall’altra. In questa collaudata formula si dipana la scansione di architetti e designer, tra volti nuovi e ritorni eccellenti. Con circospezione mista a curiosità ci addentriamo nella visita assieme ai molti visitatori che affollano questo tradizionale appuntamento.
All’architettura di pietra è riservato lo spazio centrale di una promenade sulla quale affacciano i cinque progetti chiamati a declinare per la mostra “Lithic Garden” il tema dell’hortus conclusus. Ma, come suggeriscono i Sentieri interrotti di Vincenzo Latina (che cita Heidegger), nel bosco ci sono sentieri che, ricoperti di erbe, si interrompono improvvisamente andando a scomparire. Lasciamoci dunque perdere nel gioco dei marmi bianchi e neri su cui campeggiano i sottili steli metallici pensati da Latina, o nella Stone forest di Setsu & Shinobu Ito tra alberi litici a far da fondo ai dischi di pietra che ricreano un artificiale giardino zen. A meno che non ci travolga una Marble storm, quella di Marco Piva: un giardino sconvolto da una tempesta che increspa un’onda marmorea nella pavimentazione attorno a un turbinoso nocciolo di pietra.
Più rassicurante l’ambito degli oggetti presentati da “Brand & Stone 2.0“, che pone a confronto importanti aziende del design e dell’arredamento di alta gamma con il mondo della pietra. Ad accoglierci è l’Ossimoro di Calvi Brambilla per Antoniolupi: un lavello-scultura in marmo bianco che nella contrapposizione tra la levigatezza del bacino e il raffinato panneggio alla sua base esprime l’ambivalenza di questa operazione. Come nel tentativo, talvolta caricaturale, di sostituire i materiali di alcuni oggetti: il tavolo e la sedia di legno che diventa marmo ricomposto, o lo schermo fonoassorbente di alluminio forato che diventa un puntuto e respingente guscio di pietra di Vicenza. Siamo arrivati a un punto in cui con la pietra si può fare tutto, tecnicamente: si deve farlo? Parliamone. Certamente un’esposizione deve proporre anche ricerche borderline: a dispetto del tema generale del padiglione, però, non sembra esserci nulla di naturale in questi prodotti pensati per una nicchia di mercato sicuramente remunerativa come quella del luxury, ma rispondente a una logica di styling per la quale marmi e pietre sono solo altri materiali da sfoggiare per la stagione, in attesa del prossimo must-have.
Aspirano invece a rappresentare un ambiente più domestico, fatto di cose naturali (“Natural Things”), gli oggetti di design delimitati nel padiglione da aerei elementi grafici a forma cilindrica. Il confronto tra le otto proposte, visibili negli sguardi incrociati delle prospettive soprapposte, bene si presta a identificare una duplice maniera da parte dei designer di porsi di fronte alla materia litica: da una parte chi la interpreta in chiave grafica, con rilievi tridimensionali più o meno accentuati – ad esempio con Notturno di Studiopepe o Gea di Valeria Eva Rossi -, dall’altra invece chi parte dal suo carattere massivo per esaltarne la consistenza oggettuale in chiave quasi scultorea, come fa il tavolo Coral di Dustin White.
Quando passiamo da un uso funzionale quanto meno presunto (si tratta pur sempre di prototipi di ricerca) agli oggetti d’arte veri e propri con la mostra “Percorsi d’Arte”, ciò che viene esaltato dai lavori esposti è l’espressione delle più elevate raffinatezze tecniche consentite da macchine e utensili d’avanguardia (a proposito, un salto nei padiglioni dedicati a questi giganti buoni vale sempre la pena farlo) con cui gli artisti sono stati chiamati a confrontarsi. Nella competizione visiva tra gli spazi del padiglione, quest’anno però le opere scultoree sono rimaste un po’ relegate al ruolo di arredo parietale, e la loro presenza rimane sostanzialmente spuria nel contesto delle discipline del progetto, architettura e design.
È a quest’ambito sovrano a cui si rifà l’ultimo dei giardini litici, quello progettato da Cino Zucchi con Stefano Goffi. La colta ironia di Sharawaggi vuole esprimere l’individualità dell’uomo rispetto alla naturalezza delle forme di natura, il tutto attraverso forme geometriche proprie alla tradizione architettonica: ecco gli svettanti elementi composti da elementi a ottaedro poggianti su una base e stretchati, imperniati a formare allusive stalagmiti su un impalpabile tappeto di sabbia. Da questa immagine cerchiamo di districarci per uscire dalla grotta nel bosco: dopo il binomio acqua e pietra dell’edizione 2018 di Marmomac e la conseguente fioritura verde di quest’anno, aspettiamo l’anno a venire per veder maturare i nuovi frutti: naturalmente di pietra.
Immagine di copertina: veduta esterna del padiglione Italian Stone Theatre, Marmomac 2019
Nato a Peschiera del Garda (Verona) nel 1968, si laurea in architettura al Politecnico di Milano, dove ha svolto attività didattica e di ricerca fino al 2012. Alla libera professione affianca la ricerca sulla comunicazione del progetto architettonico e urbano, organizzando incontri e iniziative, scrivendo numerosi articoli e saggi e curando pubblicazioni. Dal 2010 dirige la rivista «Architettiverona»